E’ di nuovo mattina in Italia (e in Europa)?


Approcciare una riflessione sull’esito delle elezioni europee, regionali e comunali dopo un’intera giornata di analisi, discussioni, commenti è certamente impresa ardua. Si rischia di ripetere cose già dette. Comunque, proviamo, sperando di offrire qualche pista inesplorata di ragionamento.
Primo punto. In Italia ha vinto Renzi. Non Grillo, non Berlusconi, ma nemmeno il PD. A meno che qualcuno non pensi che il PD avrebbe potuto vincere in questo modo con un Letta, un Fassina, un Cuperlo, un Civati, o cose simili. Certo, Renzi è il leader dei democratici oltre che il capo del Governo. Ma chi ha votato Renzi, non necessariamente ha votato perchè si sente vicino al PD o perchè è di sinistra o di centrosinistra, con o senza trattini.
Questo fatto, credo incontrovertibile, avvicina la politica italiana a quella di altri paesi occidentali. Faccio un esempio. Negli anni ’80, negli Stati Uniti, vi fu un cospicuo numero di elettori democratici che due volte votarono per Reagan alla presidenza della repubblica, pur continuando a garantire il sostegno ai democratici nelle elezioni per Camera e Senato. Passarono alla storia, per l’appunto, con il nome di “Reagan Democrats”.
In altri termini, quello che forse è capitato per la prima volta nel nostro Paese, è che un partito schierato a sinistra, membro del PSE, ha ottenuto certamente anche il consenso di porzioni importanti di votanti che non si collocherebbero
mai a sinistra e men che meno nell’alveo socialista e/o progressista. E questo, almeno a mio modesto parere, è un fatto positivo. Vuol dire che, se si verificano alcune condizioni, una parte di elettorato “mobile” è disponibile convergere su una o l’altra parte politica, in base alle proprie valutazioni di merito e alla fiducia nel leader che guida la formazione.
In questo a Renzi va riconosciuto il merito di aver fatto uscire la sinistra moderata italiana da una condizione di minorità, nella quale il semplice accostamento a quella parte politica, nell’immaginario, comportava ipso facto l’etichetta di “sfigato”. Oggi si può far parte di un partito che si pone nell’aveo della socialdemocrazia sentendosi orgogliosi e forti di esserlo. E il risultato ottenuto ne è una prova. In questo Renzi, pur con tutti i limiti che gli accostamenti di questa natura comportano, sembra seguire le orme del miglior Tony Blair, seppure con quasi 20 anni di ritardo, imputabili non a lui ma al suo partito.
Seconda considerazione. Con Renzi la sinistra italiana raggiunge un risultato semplicemente straordinario. Nelle europee e nelle amministrative. Ma questa apertura di credito enorme è figlia di una speranza: la speranza che le tanto agognate riforme che gli italiani, a dispetto di ogni previsione, sono disponibili a sostenere purché si dimostri serietà nella realizzazione ed equità nella ripartizione dei pesi, vengano portate a compimento.
Molte sono le incrostazioni e le resistenze con le quali Renzi dovrà fare i conti. Ma oggi, con una vittoria senza precedenti, il giovane premier è nelle condizioni migliori per lavorare, malgrado le inevitabili difficoltà. Credo che, in questo senso, l’ex sindaco fiorentino sia veramente l’ultima grande speranza del Paese. Se anche questa fosse frustrata, si aprirebbero le porte del disastro. Forse è vero che gli italiani mostrano il meglio di sé nei momenti peggiori. Bisogna almeno augurarselo.
Terza considerazione. Gli 80 euro in busta paga. Credo che anche autorevoli analisti non abbiano ancora capito l’importanza esiziale di qualunque iniziativa volta a ridurre il peso del fisco. Ho sentito con le mie orecchie gente che dichiarava di votare Berlusconi per l’abolizione dell’ICI e della tassa di successione. Poi dell’IMU. Immagino, anzi sono certo, che non pochi abbiano supportato il premier per la sua decisione di ridurre il fisco in busta paga. Questa misura viene considerata con sufficienza dagli intellettuali. E invece è importantissima. Anche perché Berlusconi, nel caso di ICI e IMU, si limitava a cambiare il nome della tassa. Renzi sembra avviato invece a procedere seriamente nella direzione di un taglio del cuneo, a fronte di un (quasi) corrispondente taglio di spesa pubblica (unica situazione che consente di abbassare veramente la pressione fiscale). In sintesi: le tasse sono una cosa seria, a maggior ragione in un paese soffocato dai balzelli. Dunque, giocheranno un ruolo sempre più importante anche nelle elezioni a venire.
Quarta considerazione. Grillo ha perso. Berlusconi era già malconcio. Anche qui, non certo per le mie modeste capacità di analisi, ma per aver messo insieme alcuni commenti raccolti al bar da amici e parenti che avevano votato il comico genovese e il suo movimento: si aspettavano qualcosa di concreto, qualche proposta costruttiva. E invece hanno registrato solo insulti, cagnare, invettive, sfottò. Se Grillo fosse coerente dovrebbe sparire dalla scena politica, come aveva annunciato. Ma certamente non lo farà. La sua principale funzione, e il comunque non scarso bottino di voti che porta a casa, stanno lì, a guisa di monito, per ricordarci cosa ci attenderebbe se il governo non dovesse responsabilmente mantenere gli impegni presi.
Ultimo punto. L’Europa. A me pare che, con l’eccezione della Germania, tra le grandi nazioni abbia prevalso una voglia di cambiamento radicale. Formazioni che mai avevano potuto ambire al primato sono oggi in cima al podio in paesi fondamentali per il futuro dell’Europa come la Francia o il Regno Unito. In Grecia vince una sinistra nuova. In Italia, con Renzi, vince sì una forza erede dei partiti della prima repubblica, ma guidata da un leader totalmente fuori da quegli schemi. Chi attacca Renzi e il PD con prese in giro basate sulla sua provenienza cattolico/democratica (ho visto su Facebook un “moriremo democristiani” o un redivivo Andreotti che, commentando il risultato, esclama “abbiamo vinto anche questa volta”) continua a non capire quanto è cambiata l’Italia. Guai a non saper leggere i segni dei tempi!
Comunque, ritornando al Vecchio Continente, va da sé che ha prevalso la voglia di un mutamento radicale nel modo di intendere l’Unione Europea. Qui si fa (finalmente) l’Europa o si muore, credo sia il sintetico messaggio dell’elettorato. Fa eccezione rilevante la Germania che, grazie al minor valore dell’Euro sul Marco si è avvantaggiata economicamente nel contesto globale. Ma per il resto il messaggio è univoco. Riusciranno a capirlo i nostri governanti? Riusciranno a comprendere che in Europa abbiamo bisogno di un presidente, un debito pubblico, una politica estera e un esercito comuni? Spero di sì, altrimenti, come ha scritto un commentatore su Ap, sarà il caos.
Vi sono molte altre valutazioni che potrebbero essere svolte. Penso al fallimento di tutte le previsioni pre/elettorali. Penso all’espressione così disomogenea del voto nei singoli paesi dell’UE. Penso all’avanzata degli euroscettici. Ma questi temi potranno essere oggetto di altre considerazioni. Per oggi il dato che conta è che l’europeo nel suo complesso ha manifestato con poche, anche se in qualche caso ragguardevoli eccezioni, una forte volontà di cambiamento.
Chi pensasse che invertire la rotta voglia dire semplicemente meno austerità e più lassismo prenderebbe un abbaglio. Nelle condizioni date ciò non è possibile. Nelle condizioni date, per l’appunto. Dunque, l’unica ragionevole via d’uscita sembra una maggiore integrazione. Ma non una integrazione qualunque: l’integrazione che porta verso uno stato unico, libero, democratico, a suffragio universale. Questa può essere la soluzione. Questo può essere il mattino di cui abbiamo bisogno. In Italia, come in Europa.

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