LMCA: gli archi, la leggenda della “fama” e…


by Piercarlo Fabbio
Alessandria: La città cambia sotto i nostri occhi, ma noi non la vediamo. Solo riprendendo in mano vecchie cartoline ci ricordiamo di com’era Alessandria quando eravamo bambini oppure come avrebbe dovuto essere quella che vivevano i nostri genitori o i nostri nonni. Se il tempo che passa è molto, allora il ricordo si fa vivo, se invece è poco, la memoria si intenerisce. E in una sorta di Alzheimer collettivo, come tutti i veri malati, non ce ne accorgiamo. ‘La Mia Cara Alessandria’ - trasmissione curata e condotta da Piercarlo Fabbio, in onda ogni martedì dalle 12,15 alle 13,15 dalle frequenze di Radio Bbsi e disponibile nella sezione podcast dei siti www.fabbio.it oppure (solo per la parte storica) www.ritrattidallalba.it – serve un po’ anche a ricordare com’eravamo e ai più giovani a raccontare come siamo arrivati fino a loro, affezionati a tante cose che oggi non ci sono più, magari anche un po’ critici verso quelle che le hanno sostituite. 
Andando indietro nel tempo, infilandosi tra le vie di Alessandria e diradando la nebbia, ecco che appare – aprendo la puntata del 9 dicembre – l’arco di via Dante. “Moltissimi pensano sia in qualche modo collegato a Napoleone. Non è così, perché è stato eretto in omaggio a un viaggio in città, datato 1768, e relativo soggiorno del Re di Sardegna, Vittorio Amedeo III e della Regina Maria Antonia Ferdinanda di Spagna. Quindi almeno un trentennio prima che il Bonaparte passasse di qui”. 

Ma l’Arco di piazza Matteotti o Genova non è l’unico ad aver caratterizzato la vita di Alessandria. C’era quello in fondo a via San Francesco, prima di sfociare in corso Crimea, abbattuto negli anni Sessanta e conosciuto come ‘Arco di Rattazzi’, dal nome della via dedicata allo statista alessandrino, in asse con l’arco. “Un manufatto bruttino che non aggiungeva, né toglieva niente alla città e all’uomo di governo che favorì l’Unità d’Italia, ma anche che fu inviso ai clericali a cui sottrasse beni e competenze”.
Un altro, questo di fattura più significativa, è stato demolito da Napoleone insieme alla Cattedrale di San Pietro dopo il 1803. Si trovava in Platea Maior o piazza della Luna, oggi piazza della Libertà e – come descrive lo storico Piero Angiolini – “… era fatto in buona muratura e posto all’inizio della Contrada del Carmine (via dei Guasco); con le due imposte, da una parte si appoggiava alla casa Caselli di via dei Sarti (Migliara), dall’altra alla casa detta del Seminario (ora Peppino Vitale). Non doveva mancare di una certa imponenza se in alto era coronato da una figura di donna e precisamente una “Fama” con tanto di tromba; portava il titolo di Arco Ravanale, nome rimasto poi popolare in quanto i francesi, distrutto l’Arco, vollero che la Porta, fosse trasferita al fondo di via Mazzini, chiamata appunto contrada Ravanale…”. 
Era stato costruito, anche in questo caso, in onore di una testa coronata: nel 1699 per il passaggio di Margherita d’Austria che andava in sposa a Filippo di Spagna. Alessandria era ancora lombarda, sarebbe diventata piemontese di lì a poco. Intanto comandavano gli spagnoli con il Governatore Agostino Medina. Prima della demolizione – ma qui è più leggenda che storia – fu salvata la statua della ‘Fama’, una figura allegorica della mitologia romana. Ne parla Virgilio e la si immaginava come un mostro alato gigantesco capace di spostarsi con grande velocità, coperto di piume sotto le quali si aprivano tantissimi occhi per vedere; per ascoltare, usava un numero iperbolico di orecchie e diffondeva le voci facendo risuonare infinite bocche nelle quali si agitavano altrettante lingue. 
Nella iconografia medioevale e poi barocca è semplicemente una donna, alata che suona la tromba, visto che era la personificazione delle dicerie, del gossip, del pettegolezzo. Andò, in un primo tempo, a ornare il negozio di un tabaccaio nella piazza; poi fu trasferita nel cortile di casa Gavigliani, in via Ravanale (via Mazzini), nei pressi della Gamberina vecchia. Lì c’era un cannone, che ogni giorno, precisamente alle 12, sparava un colpo e la statua divenne ornamento per l’arma. Ma rimane un dubbio. La statua si mosse nottetempo dal tabaccaio non ritenendolo luogo adeguato al suo rango di figura mitologica oppure venne più realisticamente trasportata in un luogo più riparato, ma al riparo di occhi indiscreti? E dire che, almeno una volta al giorno, quella tromba faceva sentire la sua voce, sparandola grossa… 
Spostandoci, come ormai da diverse settimane, ‘Stra per Stra’ arriviamo in via Giulio Cesare Cordara, da via Marengo a spalto Gamondio (parallela a via Montello). Si dice nato ad Alessandria il 17 dicembre 1704, ma in realtà nato a Nizza da genitori illustri, il conte Antonio di Calamandrana ed Eleonora Cressini, fu portato appena nato in città, dove governavano ancora gli spagnoli, in quanto sulle colline dell’Astigiano imperversavano con saccheggi e ruberie le truppe francesi. Ordinato sacerdote, fece parte della Compagnia di Gesù ed eccelse, per ingegno, in letteratura antica. Latinista profondo, appassionato di storia, fu anche molto versato alla poesia satirica. Giosuè Carducci racconta che Giuseppe Parini prese le mosse da Giulio Cesare Cordara per concepire il suo ‘Giorno’. Utilizzò la poesia per bacchettare laici e religiosi, senza partigianerie. 
Dopo le tradizionali rubriche dei proverbi – “Al’ott l’è Sonta Maria; al tredes Sonta Lusia; al ventising el Messia” e “U iè ansen pi galantom du temp” - e l’Almanacco del giorno prima, fatti successi tanti, tanti anni fa in Alessandria. 
La puntata si chiude con la playlist della settimana, dedicata al jazz che canta Natale: ‘Oh little town of Betlehem’, Golden Gate quartet; ‘The Most Wonderful Time Of The Year’, Andy Williams; ‘It came upon a midnight clear’, Billy Vaughn Orchestra; ‘The Christmas Song’, Mel Tormè; ‘Frosty The Snow Man’, Ella Fitzgerald; ‘A Child Is Born’, Oscar Peterson; ‘What Are You Doing New Year's Eve?’, Ramsey Lewis; ‘I'll Be Home For Christmas’, I Platters; ‘Jesus Made A Way’, gospel; ‘Zat you Santa Claus’, Louis Armstrong.

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