Svolta e rilancio Europa

Carlo Baviera
In questi ultimi anni ciò che l’Europa (le sue Istituzioni e la sue direttive) trasmetteva a noi poveri terreni, erano normative che tendenzialmente peggioravano le condizioni di produzione locale e la loro qualità.
Altri segnali chiedevano di adeguare i Bilanci per contenere i debiti e i deficit nazionali: cosa giusta, da condividere e applaudire. Peccato che ciò si riversasse sostanzialmente alle spese per il welfare o a quelle per cultura e istruzione. L’indegno trattamento riservato lo scorso anno ai greci (pur riconoscendo gli eccessi e gli errori di quel Paese) ne restano testimonianza. Ciò che fu chiesto anche ai nostri Governanti, i famosi compiti a casa, non sono un gran bella pagina: anche se una serie di riforme e di tagli si erano rivelati indispensabili. Ma quando si incide sulla carne viva delle persone, non ci si può stupire che insorgano populismi, e altri aspetti negativi che caratterizzano l’avversione a scelte di Governo.
Tralasciamo altre questioni di politica estera (dagli interventi in Africa e Asia, alle posizioni condizionate da una incerta diplomazia riguardo alla difesa dei diritti umani, sempre e comunque) ma sono sufficienti la Libia, la Turchia, l’Ucraina, per capire quanto sia difficile una politica comune in questo settore delicato, se pur importante. Dopo il fallimento, nel 1954, della CED – uno dei crucci che intristirono la fine di De Gasperi – non si è riusciti ad unificare la difesa del continente e di tirarlo
fuori da una logica di guerra fredda, oggi divenuta di tutti contro tutti.
Se il timore di uno sfondamento xenofobo in Austria lo si è provvisoriamente superato, e da questo punto di vista, per qualche anno, possiamo ancora respirare, ciò non significa che l’Europa debba frenare nel cambiare scelte verso la socialità, il lavoro, il sostegno alle diverse povertà. In caso contrario il sogno di Schuman, Adenauer, De Gasperi, Monnet, Spinelli sarà travolto dagli ultraconservatori e dagli xenofobi.
La presidenza conquistata da un “verde” in Austria, accantonando settant’anni di predominio popolare o socialdemocratico, deve far riflettere. Non è la prima volta che partiti tradizionali, ora in uno Stato ora nell’altro, prendono scoppole o vengono premiati nuovi movimenti; si pensi solo alla Spagna con Ciudadanos e Podemos: vedremo domenica se confermeranno le loro performance.

Mentre la decisione Britannica di uscire dall’Europa incrina una costruzione che ha senso se costruita con la presenza di tutte le nazioni più significative. E apre pericolosamente ad analoghe decisioni di altri Paesi membri. Ciò non deve però scoraggiare, anche perché mette fine ad una ambiguità che faceva del Regno Unito una specie di Regione a Statuto speciale in Europa; anzi si richiede una ripartenza immediata, e un rilancio del progetto di Unione Federale. Chi ci sta ci sta, gli altri arriveranno. La risposta peggiore sarebbe l’immobilismo. Quando invece serve muoversi più speditamente verso l’unità politica.
Questa serie di segnali credo che indichi la necessità di una svolta. O si cambiano le organizzazioni, le ideologie, i vari Pantheon dei partiti anche a livello europeo, oppure vinceranno idee e personaggi pericolosi, più che strani. Se i socialisti restano i socialisti del 1900, con la loro storia (rispettabile e importante) da valorizzare e i programmi che si rifanno a quella storia e a quella cultura; e se i popolari (anch’essi con una storia rispettabile e con conquiste notevoli sul piano del consolidamento dell’Unione), ma da tempo non più partiti democratici cristiani ma ormai moderati se non conservatori continuano a preoccuparsi dei numeri che a livello parlamentare garantiscono l’accesso agli incarichi significativi dell’Unione imbarcando chiunque; se tutto questo resta immutabile i cittadini si rivolgeranno al nuovo, a chi porta idee diverse, a chi presenta un disegno e un progetto.
Anche in Europa non hanno più senso le “case” di Socialisti e Popolari se non progettano più, se si preoccupino di riempire caselle di potere anziché rappresentare le esigenze e la volontà dei popoli, e soprattutto se non riescono ad aiutare i cittadini a capire anche eventuali sacrifici per ottenere risultati concreti non fra qualche generazione, ma in questi anni. Deve ritornare il “sogno” europeo.
Sarà un sogno, pura teoria, ma immagino che l’Europa abbia ancora bisogno dei popolari (democratici cristiani), della socialdemocrazia (socialismo umanitario, riformismo, sinistre democratiche) e dei veri liberali democratici (non i conservatori e i nazionalisti o i liberalcapitalisti), ma solo se questi sapranno trovare nuove proposte, nuovi traguardi, nuovi linguaggi, se fra di loro ci saranno coraggiosi oltre che sinceramente democratici che sapranno fondersi in una nuova organizzazione che incarna il cambiamento, le sensibilità di libertà, giustizia, legalità, di ambientalismo non radicale, sussidiarietà e solidarietà comunitaria.
Altrimenti è gusto che siano altri a condurre le danze del futuro, con tutti i rischi; anche che vada dispersa o non sia valorizzata a dovere la cultura personalista, riformista, ambientalista, messe al servizio dei nuovi bisogni, delle nuove situazioni. Il cambiamento d’epoca che ci sta investendo deve vedere protagonista un centro sinistra pluralista a livello europeo, rispettoso delle culture e delle tradizioni di popoli e nazioni.
E visto che ciò non si riesce a realizzarlo ai livelli dei vari Stati, è bene che lo si proponga e insegni a livello comunitario. Qualche volta le democrazia scende verso la base: se dalla base non si è in grado di rappresentare adeguatamente la società civile, costruire un progetto e un percorso, per proporlo all’Europa.





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