L'ANTIQUARIO, by Giuseppe Guaragna & Silvia Cozzi

by Giuseppe Guaragna  & Silvia Cozzi
Era in una stradina della città vecchia, tra un negozio di souvenir e un vecchio forno a legna. Una targa di rame, leggermente ossidata, e la scritta in caratteri gotici. Antiquario. Non amo particolarmente i mobili d’antiquariato, quel tanto che basta ad apprezzarne i pezzi migliori. Sono invece preda di cotte memorabili, quando si tratta di oggettistica. E ciò che era esposto in vetrina, mi attraeva come limatura di ferro. Un volto riprodotto alla perfezione, tanto vero da sembrare un ologramma o una scultura iperrealista. Un uomo sui cinquant’anni, bruno di carnagione, naso e bocca regolari, grigi gli occhi e leggermente brizzolato. Mentre ero lì, incollato alla vetrina, sulla porta comparve, come materializzandosi all’improvviso, colui che certamente era l’antiquario. Alto, allampanato, completamente calvo, occhi neri come pozzi di pece. Tra le labbra sottili e insolitamente rosse, una elegante pipa di radica che prese in mano per chiedermi, con voce e sorriso gentile, se fossi interessato all’oggetto.

-Certamente insolito e interessante- mi sentii rispondere -mi piacerebbe conoscerne storia e provenienza.-

-E non il prezzo, dottor Sangermano?- 
Mi tese la mano presentandosi con un sussurro che mi negò il piacere di conoscerne il nome. Ero basito. Come faceva a conoscere il mio di nome? Non era certo un mio paziente né lo ricordavo in un letto d’ospedale. Lo attribuii al fatto che avesse sentito parlare di me. Durante la mia carriera di medico, che molti definiscono brillante, ho aiutato e guarito da patologie spesso severe, tantissime persone, aumentando così la mia fama di ottimo professionista.
L’uomo mi intrappolò nel suo sguardo di brace “Incredibile”, pensai nonostante le mie considerazioni “Pare leggermi dentro, come a scrutarmi l’anima”. Mi domandai come mai, per quanto avessi percorso quella strada diverse volte, non avessi mai fatto caso a quel negozietto che adesso mi
affascinava con i muri di pietra a vista e il suo stile piacevolmente retrò.
Mi guardai intorno. Era palese anche ad un occhio poco esperto che i non molti pezzi in vendita erano tutte di grande qualità e restaurati con maestria. Una piccola specchiera in legno intagliato e dorato, una cornice intarsiata in radica di mogano, un tavolino da gioco inglese, un elegantissimo cassettone Luigi XVI in ciliegio, due poltrone veneziane, componevano la mobilia esposta. Tra le opere d’arte alle pareti, diversi dipinti di ottima scuola. Sopra una consolle in noce lastronato, l’oggetto che aveva attirato la mia attenzione e che mi avvinceva e turbava allo stesso tempo. Sprigionava un richiamo talmente intenso, così coinvolgente, da farmi quasi entrare in un’altra dimensione. Era come se quel volto raffigurato con tanta maestria, facesse parte di un passato assopito in me, che riemergeva dagli abissi dell’inconscio.
-Non mi interessa il prezzo- risposi, -la professione mi ha regalato una certa agiatezza che mi consente di togliermi qualche capriccio.- aggiunsi -La perfezione delle fattezze di questa scultura è straordinaria. Vorrei aggiungerla alla mia piccola ma ricercata collezione.-
L’antiquario sorrise e stava per dirmi qualcosa ma io, forse un po’ sgarbatamente, lo interruppi.
-Il suo nome, signore,- chiesi, -non ho inteso bene il suo nome.-
-Giovan Battista Balsamo, per servirla- rispose chinando leggermente la testa, ma con il tono arrogante di chi pare volerti dire “chi altri potrei essere, non l’hai ancora capito”?
Quel nome! Ma certo che lo conoscevo! Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro. Alchimista e improbabile massone di rito egizio. Amato e odiato in egual misura nelle corti e dai potenti del XVIII secolo. Truffatore e lenone. Eternamente in fuga da qualcosa o da qualcuno.
-L’ha infine trovata la tanto ambita lapis philosophorum, il suo antenato?- Mi sentii chiedergli quasi con scherno. La pietra filosofale, il sogno di ogni alchimista e di ogni potente. Capace di donare la vita eterna, la conoscenza del passato e del futuro, oltre che trasmutare i metalli vili in oro.
Il conte, a queste mie parole, perse l’aplomb che aveva dimostrato fin qui e, fulminandomi con i suoi inquietanti ed incredibili occhi neri, mi sibilò addosso:
-Lei dovrebbe saperlo bene, dottor Sangermano, o desidera che la chiami col suo vero nome, caro il mio conte de Saint Germain?-
A quelle parole il piccolo negozio d’antiquariato sembrò esplodere in mille colori, e mille suoni differenti, come frammenti di una sconvolgente cacofonia, mi aggredirono costringendomi ad accasciarmi su una delle poltrone veneziane.
“Ecco chi sono”, mi dico. I tanti piccoli segnali di una diversità percepita, ma che non avevo mai voluto ammettere, finalmente, come tessere di un mosaico, trovano la loro collocazione. Incredibilmente, nonostante tutto ciò che sta accadendo, mi sento di dover fare una domanda.
-Il prezzo, conte, mi dica il prezzo?-
-Per lei è gratis, conte, gliela regalo.-
Con bramosia, presi tra la mani la scultura. Qualcosa, nell’afferrarla, si mosse all’interno. Mi resi conto che la base era mobile e quello che vi trovai mi lasciò stupefatto. La pietra filosofale che brillava di un’ipnotizzante luce cangiante. Fu come se una scossa elettrica mi attraversasse, tasselli di vite passate si riaffacciarono alla mente, la mia immagine proiettata in epoche diverse. Mi rividi alla corte del re di Francia Luigi XVI e al fianco di Hitler durante la seconda guerra mondiale, corteggiato dai più potenti e dai più ricchi, perché io, solo io, ero al corrente del più antico ed ambito dei segreti. L’eterna giovinezza. L’immortalità. Sentii di avere di nuovo il mondo tra le mani. Ad un tratto, però, ebbi un’altra visione, quella del futuro che mi attendeva. Sempre più avido, corrotto, disilluso, meschino, cinico e solo, stanco di un’esistenza di cui avevo provato tutti i piaceri e le dissolutezze, arrecando male e distruzione sopraffatto dalla sete di potere.
La pietra adesso brillava di una luce sinistra ed ambigua ed io la fissavo terrorizzato. Non era quello che volevo. Vivere per sempre sarebbe stata solo una dannazione. Volevo la possibilità di porre fine ai miei giorni. Capii che l’antiquario, che mi fissava gelido e ghignante, nel farmene nuovamente dono mi stava regalando la condanna eterna.
Scagliai la pietra lontano e corsi via senza voltarmi indietro.

Giuseppe Guaragna  & Silvia Cozzi






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