Il mito del mastino dei Cullan, di Maurizio Donte

Quando ho iniziato a leggere "Il mito del Mastino di Cullan", di certo non avrei mai pensato di trovarmi davanti ad un'opera di tale portata. L'autore Maurizio Donte, ha riscritto e rinnovato, in chiave poetica, un mito irlandese dei secoli antichi, cosa tutt'altro che semplice, se pensiamo a quale enorme lavoro di ricerca, riscrittura e revisione debba esserci stato a monte (come ben spiegato dall'autore stesso), volto alla ricerca di un continuo miglioramento.
E mi sorprendo a leggere un lavoro in cui assolutamente nulla viene lasciato al caso, dagli aspetti metrici dei componimenti, alla forma, al contenuto e dove l'autore riesce a conciliare in modo perfetto le parti più crude dei combattimenti con quelle più emotive ed umane che rispecchiano le naturali debolezze e fragilità dell'uomo, che comunque non risparmiano neppure le divinità, se pensiamo alla Morrigan, dea della guerra travestita da corvo, che segue Sètanta ovunque, proteggendolo, e finisce con l'innamorarsi di lui, e dunque "posa" le penne di corvo per tornare donna e placare i "languidi sensi"... E "Un dolce pensiero mi colse di lui:
debolezza d'amore è parte di noi"
E qui, si racchiude, credo, tutta l'essenza delle umane fragilità. Dunque mi chiedo dove possa venire collocato, se non qui, tra queste pagine, il concetto di perfezione.
Quando si pensa al "mastino di Cullan", balena immediatamente in testa l'idea di un uomo vigoroso e possente, ma poi lo ritroviamo anche bambino, seppur semidio, fragile, non amato dal padre adottivo, che cresce e percorre la sua strada da solo... Infonde molta tenerezza quest'immagine, paragonata a quella del Sètanta furioso che sconfigge i nemici. E che dire dello stesso Sètanta, obbligato da "leggi di guerra", a combattere contro il suo amico fraterno, colpirlo e ferirlo, per poi curargli, la sera, i colpi da lui stesso inferti... O ancora, immaginarlo a battersi contro il suo unico figlio, ignaro della sua identità fino al momento della fatale rivelazione da parte della madre del ragazzo, nel momento in cui lo uccide ed il conseguente strazio di un padre le cui mani sono ora macchiate del sangue del suo stesso sangue, benché vittima anch'egli di macchinazioni esterne e gelosie.
Ma non è bene svelare troppo di quest'opera, poiché vale sicuramente la pena di emozionarsi, leggendola.
Un poema scorrevole, mai pesante, una lettura che trascina e coinvolge nelle sue avventure anche chi non è particolarmente "ferrato" sul genere mitologico ed epico, proprio per questa grande sensibilità che spicca anche nelle parti più cruente. 
Un autore che ha davvero molto da insegnare a tutti noi.


(Nadia Milone)

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