La solitudine degli eroi. B. Sesana, (storia di un cavallo soldato) by Giannunzio Visconti

by Giannunzio Visconti
Introduzione
Motivo ispiratore della stesura di questo mio saggio-guida è stato il mio spirito di osservazione verso il mondo giovanile, spesso teso verso visioni ridotte della realtà perché privo di consigli pratici per affrontare la vita odierna. I molteplici argomenti da me trattati, il più delle volte sono accompagnati da un velo di ironia, spesso volutamente portati alla loro massima espressione, al fine di spronare i ragazzi alla ricerca di un futuro certo.
N.B. – Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a persone realmente esistite o esistenti è puramente casuale, molti fatti descritti, sono frutto di fantasia immaginaria.
Auguro a tutti loro Buona Fortuna.
“…un lamento scosse quelle montagne impregnate di sangue, era il lamento disperato di B. Sesana, colpito da una pallottola sparata da un cecchino appostato su una di quelle alture, giaceva agonizzante sulla terra bagnata, il suo mantello bianco si tinse di rosso, respirava ancora ma a fatica, i suoi occhi scuri guardavano verso l’alto, quasi a voler cercare di riconoscere qualcuno tra i soldati che l’avevano circondato per prestargli soccorso…”                    
B. Sesana
(storia di un cavallo soldato)
Ho cercato di conciliare il sentimento imperante nel cuore degli uomini di bontà e altruismo con l'altro della cattiveria e della malvagità. Sono storie utili ai giovani nella loro crescita spirituale e materiale.
        Siamo ai primi anni del secolo Novecento, la vita è molto dura, l’economia è prevalentemente su base agricola e pastorale. 
Cominciano a inasprirsi i conflitti nelle campagne, tra i braccianti che prendono coscienza di fare tanto lavoro per pochi soldi, solo per sopravvivere, e i proprietari per lo più nobili latifondisti, che cercano in tutti i modi di conservare i loro privilegi. Le lotte contadine si estendono a macchia d’olio per tutta la penisola, i primi a rivendicare diritti, salari più alti, i secondi a mantenere il potere a tutti i costi. 
Scoppiano disordini, rivolte, in qualche caso si arriva anche ad episodi di spargimento di sangue, a veri e propri conflitti a fuoco tra le fazioni in campo. Questi sono periodi in cui c’è una tensione altissima tra i vari soggetti sociali, la crisi economica morde, il lavoro scarseggia, la povertà dilaga, molti sono costretti a emigrare, assistiamo a un fenomeno migratorio molto intenso, sono in tanti a lasciare il nostro paese verso altri mondi, le Americhe soprattutto. 

A tali rivendicazioni contadine, si aggiungono quelle degli operai, le cui condizioni di lavoro nelle prime fabbriche del nord sono terrificanti, senza diritti, senza pause, senza tutele, senza misure di sicurezza, uno sfruttamento che fa nascere tensioni, rivolte che si aggiungono a una situazione già aspra. In questa situazione di scontri cruenti e continui, diventa cruciale il mantenimento dell’ordine pubblico, le forze di Polizia e in particolare i Carabinieri hanno da svolgere un lavoro difficile e pericoloso. Essi vivono nelle caserme, svolgono un servizio impegnativo, tra di loro si crea un forte cameratismo, infatti, dormono in molti casi in grosse stanze, dove si raccontano di tutto, dei loro amori, dei loro sogni, delle paure, delle speranze, dei pericoli che ogni giorno corrono, del futuro incerto che li aspetta. L’atmosfera dentro queste fauste camerate è di quelle semplici, modeste, si raccontano storie, si ride per poco, si fanno battute sulle donne, si scherza un po’ su tutto, ma dentro, dentro ognuno di loro c’è una sottile malinconia, una sorta di strana consapevolezza di dover fare i conti con la sorte e in quei tempi, non si poteva vivere a cuor leggero, non c’erano molte possibilità, si usciva con l’unica speranza di poter rientrare sani e salvi alla sera. Eusebio era uno di loro, giovane e sensibile, viveva nell’entusiasmo della giovinezza, amava la vita militare, la vita di caserma, di bell’aspetto, imponente nella sua fisicità, si era ritagliato un ruolo di mattatore tra i commilitoni, a lui chiedevano consigli, spiegazioni sulle armi, sulle azioni, sulla vita in genere. Era molto propenso al dialogo, amava l’ironia, cercava di essere sempre ottimista, anche nelle peggiori situazioni. Erano tempi bui per tutti, ma noi, servitori dello Stato, avevamo un dovere in più: non potevamo sottrarci ai nostri compiti, neanche di fronte alla sofferenza, al rischio e alla morte.
       Un periodo storico, turbolento, conflittuale, pieno di contraddizioni, di disperazione, di miseria, di diaspore, ma anche di tenacia, di coraggio con i primi spiragli di un mondo che sta cambiando, di una società dove s’intravedono i primi germogli del progresso, dell’equità sociale, della libertà per tutti. Ma come ogni passaggio storico, come ogni cambiamento questo periodo storico non poté passare senza ferite, senza lacerazioni, senza cruente battaglie, senza macerie, senza sangue. Infatti, oltre ai disordini interni, ai problemi sociali, eravamo alla vigilia della prima grande guerra, quella del 1915 – 1918, che fu il punto di approdo di grossi sconvolgimenti nella realtà politica, economica e sociale dell’intera Europa. Eusebio partecipò attivamente a questo conflitto, con dedizione, coraggio e consapevolezza, partì per il fronte Austriaco e come volontario, si arruolò, nonostante fosse Carabiniere, nell’Artiglieria Ippotrainata e poi nel Battaglione Camicie Nere d’Assalto “Ardito”. Era una persona orgogliosa, semplice, aveva una forte propensione al comando, una grande forza d’animo che riusciva a infondere anche agli altri soldati, partecipò a molti combattimenti, anzi era uno dei primi ad accelerare verso il nemico, non si risparmiava, seguiva gli ordini con precisione e scrupolo. Quello non era un conflitto qualsiasi, quella era la grande guerra, uno sconvolgimento dell’epoca, una dimensione della follia che assunse estensioni gigantesche. Quando gli uomini hanno paura, quando perdono il senso della misura, quando hanno fame, quando non hanno più speranze, si lasciano andare a inseguire le follie di altri uomini che calpestano la loro dignità, essere umani ridotti a strisciare nel fango delle trincee, a respirare i fumi del piombo, a bere il sangue dei propri amici caduti al proprio fianco, a mordere la terra per sottrarsi al fuoco nemico, a piangere per non saper dove andare. Crudele, scoppiata per ragioni di onnipotenza di pochi, devastatrice, si prese la vita di giovani soldati andati in quelle montagne maligne senza sapere nemmeno il perché. Un’odissea infernale, con la morte dietro le spalle in ogni attimo, greve era il fardello che costoro dovettero sopportare, l’idea di non poter vedere più il giorno, di non vedere più la propria terra, era dentro ogni soldato, ognuno di loro si sentiva un fantasma, un uomo già morto. Cadevano con una facilità estrema, quando dovevano attaccare, alcuni avevano intorno ai venti anni, non sapevano nemmeno usare bene i fucili, erano appena arrivati al fronte e già la morte se li portava via, alcuni forse avrebbero preferito quel destino avverso, in luogo dell’attesa della morte, nel freddo, nel gelo, nella paura.
     Eusebio rifletteva su questi avvenimenti, si poneva degli interrogativi, s’immedesimava in questi giovani, cercava una logica, una spiegazione sulle cause di questi orrendi massacri, sulle ragioni e sul senso della guerra. Nonostante gli sforzi, non trovava delle spiegazioni esaurienti, così s’incupiva, diventava malinconico, perdeva il mordente, ma sapeva che in fondo quella triste vicenda sarebbe finita e la vita avrebbe ricominciato a dispensare sorrisi e gioia. Questo è solo un periodo e qui ci siamo noi, siamo noi i guerriglieri, siamo noi che abbiamo la responsabilità, che abbiamo il dovere di reagire, di portare la libertà per tutti, bisogna combattere, non bisogna arrendersi, dobbiamo perseguire la vittoria prima possibile, solo così possiamo dimenticare questi massacri e iniziare una nuova esistenza.        La sua anima di servitore dello Stato veniva fuori nei momenti difficili, l’indole del Carabiniere non l’aveva abbandonato neanche in quell’inferno, anzi cercava di infondere coraggio e i giovani lo stimavano, lo seguivano anche nelle battaglie più dure.
      Eusebio era un vero combattente, riusciva a coniugare l’intelligenza tattica con la strategia bellica, si comportava come un capitano ma era solo un maresciallo, ma questo contava poco in quei frangenti, in quell’incubo senza tempo, la decisione doveva essere immediata e lui sapeva sempre cosa dire e fare. Questa però non è solo la storia di quest’eroe italiano, è anche quella di un bellissimo cavallo di razza irlandese grigio un vero corsiero di nome B. Sesana. Infatti, Eusebio nutriva una forte ammirazione per gli animali, un profondo affetto lo legava ai cavalli e in quella bolgia di sofferenza c’erano anche loro, i cavalli, propri effettivi dell’artiglieria ippotrainata. Eusebio si affezionò a uno di loro, aveva molta dimestichezza con i cavalli, soffriva a vederli trainare quelle pesanti armi, ma non poteva aiutarli, in qualche modo, però cercava di recare loro sollievo, portando dell’acqua fresca e un po’ di tenerezza. Tra tutti, Eusebio si era legato a B. Sesana, che divenne il suo cavallo preferito, fu un amore a prima vista, lui era capace di leggere negli occhi dell’animale, vedeva il dolore, la sofferenza, la follia della guerra, la tristezza di non poter vivere la propria natura di cavallo libero, di non poter galoppare nelle praterie battute dal vento, di non poter essere accarezzato dai bambini, di non poter avere un suo cavaliere, di non poter essere un cavallo felice.
La guerra, infatti, riservò anche a B. Sesana un destino che non era quello che avrebbe voluto, costretto a trascinare pezzi di artiglieria su quelle montagne impervie e pericolose, a testa in giù, provato dalla fatica e dallo sconforto, il cavallo avanzava lentamente in mezzo alla neve, al freddo dell’inverno, con le zampe che rischiavano di cedere a ogni crepa del terreno, con le forze che gli mancavano, con l’incubo di non poter più respirare per lo sforzo eccessivo, di non avere più futuro, di non poter mai più correre sulla riva del mare. B. Sesana, non era un cavallo come tanti, aveva qualcosa in più, la stoffa del campione, la grinta del lottatore tenace, sarebbe stato ammirato da tutti, molti avrebbero voluto cavalcarlo, avrebbe senz’altro avuto un ruolo importante nel mondo dell’equitazione, sarebbe stato ricordato tra i migliori cavalli del secolo; ma gli eventi imprevedibili, la malasorte, spazzano via i sogni e le possibilità, senza che possano più presentarsi, è questa la maledizione che si abbatte sui talenti migliori, bruciandoli al fuoco come accadde per “Giovanna d’Arco”, privandoli della giovinezza e della dignità.
E con questa drammatica dimensione che B. Sesana doveva fare i conti, non esisteva un altro mondo, era lì per resistere e combattere al di fuori del tempo, doveva sopravvivere alla sfortuna, solo così avrebbe dimostrato di essere il migliore, il cavallo che corre veloce nelle terre più estreme, più lontane, laddove la libertà del territorio, della natura diventa la libertà di coloro che solcano quegli spazi ai confini del mondo. Per questo B. Sesana appariva sofferente, soffocato, prigioniero di una realtà che non aveva voluto, sembrava quasi che il suo tormento eguagliasse quello dei soldati, si comportava in modo strano, percepiva il dolore, lo sentiva, avvertiva lo scempio di quella follia, sapeva che oltre, in altri luoghi c’era una vita diversa, che le montagne non erano solo il luogo delle stragi e del sangue, ma quello in cui la natura regna sovrana, dove l’aria tersa s’innalza fino a toccare il cielo, dove la pace fa da sfondo a un paesaggio d’incommensurabile bellezza, fiumi, boschi, altipiani, valli pieni di verde, dove non c’è traccia del male, della barbarie, dell’odio, della morte.
      A Eusebio valoroso e intelligente soldato non poteva sfuggire l’originalità, lo stile, l’ardimento di questo cavallo, avvertiva che si trattava di un animale bellissimo, sensibile e sfortunato come tutti quelli che erano in quella sciagurata guerra, e che avrebbe potuto in qualche modo fare di B. Sesana il cavallo della sua vita, ciò che tutti sognano, soprattutto da fanciulli, così tra loro nacque uno strano legame, molto forte, intenso, non si lasciavano mai, il giorno durante i combattimenti e al sopraggiungere della notte.
Entrambi distrutti, pieni di stanchezza per le fatiche e pericoli delle battaglie, la sera riposavano vicini, Eusebio lo accarezzava, lo dissetava, lo consolava, lo nutriva, gli parlava addirittura di come la loro vita sarebbe stata diversa senza quella maledizione voluta dagli uomini, erano entrati in simbiosi, l’eroe soldato e il cavallo campione, non si distaccavano mai, al fronte, nelle trincee il tempo è un macigno che ti soffoca, ti stronca il sistema nervoso, è più terribile aspettare il combattimento, l’avanzata, che lo scontro vero e proprio. Anche in queste prolungate attese, nella fame, nella sete, i due amici ritrovati si guardavano negli occhi, si sentivano uniti, erano fianco a fianco, cercavano in qualche modo di volare con il pensiero, e di vedersi insieme a galoppare al tramonto lungo le praterie della terra, fuori dal terrore e dalla violenza. Questo intenso affetto per quel triste e meraviglioso cavallo, dava a Eusebio una forza smisurata, gli infondeva un coraggio, la speranza di potercela fare insieme ai suoi commilitoni e naturalmente a B. Sesana, appena usciamo da questo inferno pensava, lo porto con me, a casa mia nelle montagne abruzzesi di Pratola Peligna, diventerà il padrone assoluto di quei territori, il capo indiscusso, altezzoso, prorompente e bello, lo lascerò libero di andare e venire, anche se so, per certo che sceglierà di immergersi per sempre nel mondo selvaggio della natura, che fino ad ora gli è stato negato. Sognare faceva bene a quell’eroe che sapeva guardare lontano, che cercava anche nella miseria della guerra di trovare un po’ di ricchezza a cui aggrapparsi, così da riuscire a non perdere mai la speranza, anche nei momenti in cui la ragione non dava scampo a nessuna ipotesi di salvezza, così nonostante i combattimenti diventavano sempre più feroci, le lotte più aspre, violente, e il numero dei corpi senza vita crescevano senza sosta, lui viaggiava insieme al suo cavallo, galoppavano felici lontani dall’incubo delle brutture di quell’assurda violenza, fianco a fianco come inseparabili e indomabili guerrieri, si alzavano verso il cielo, volavano in alto, in mezzo alle nuvole, nell’azzurra sconfinata purezza dell’aria fredda del mattino. Nonostante questi attimi di fantasia facessero scappare da quella crudeltà i due affezionati leoni, i colpi di cannone, i fendenti delle baionette, i sibili delle pallottole sparate dai fucili, li riportavano nella cruda realtà di quella sciagurata avventura. Così i giorni passavano, senza che ci fosse uno spiraglio di luce, con la sofferenza che aggrediva sempre di più B. Sesana per via delle dure fatiche quotidiane per trasportare i mortai e i cannoni, il cavallo era stremato lontano dalla sua bellezza naturale, solo la sera, con le tenerezze di Eusebio riprendeva un po’ di colore. Purtroppo, la situazione precipitava sempre di più, il conflitto si ampliava, coinvolgendo tanti popoli e stati, non era lì da finire, lo spettro della morte era presente davanti agli occhi dei soldati, l’oblio scendeva nelle loro menti, era un susseguirsi di lamenti, di urla disperate, di tormenti, un luogo di afflizione e dolore. B. Sesana, nonostante la stanchezza conservava la fierezza tipica dei cavalli Irlandesi, si prodigava molto nelle battaglie, forse in cuor suo si preoccupava della sorte del suo cavaliere, aveva timore che a Eusebio potesse accadere qualcosa di terribile così da non poterlo più avere vicino la sera, aveva un intuito fuori dal comune, si sa, gli animali avvertono prima il pericolo, questa era una preoccupazione che in qualche modo lo torturava, tanto era forte quel legame tra quegli intrepidi guerrieri. Una sottile linea dell’anima, una sorta di confine tra la realtà e il sogno tratteggiavano le giornate del cavallo e del suo condottiero, non si poteva non vedere che la guerra non si ferma dinanzi a nulla, anche i sentimenti più puri possono essere aggrediti, possono soccombere, senza sapere l’origine del male che si prende la bellezza del giorno, la bellezza del futuro. Qualcosa di sinistro aleggiava nell’aria, in un’atmosfera tetra, cupa, un lamento scosse quelle montagne impregnate di sangue, era il lamento disperato di B. Sesana, colpito da una pallottola sparata da un cecchino appostato su una di quelle alture, giaceva agonizzante sulla terra bagnata, il suo mantello bianco si tinse di rosso, respirava ancora ma a fatica, i suoi occhi scuri guardavano verso l’alto, quasi a voler cercare di riconoscere qualcuno tra i soldati che l’avevano circondato per prestargli soccorso. Non impiegò molto Eusebio, per capire che il suo campione, l’adorato cavallo bianco irlandese, era stato colpito in modo grave, anche perché era in prossimità di quel luogo nella sua direzione, così gli si avvicinò con le lacrime agli occhi, urlò tutta la sua rabbia, non avrebbe mai voluto vedere quella macabra scena, il suo cavallo colpito a morte, soffriva, gemeva, si dimenava quasi a implorare il gesto estremo, quello liberatorio, che l’avrebbe sollevato da quel patimento disumano. Eusebio, lo guardava negli occhi e capiva che doveva mettere fine a quell’atroce sofferenza, ma sapeva che questo significava spegnere definitivamente la vita del suo coccolato, adorato cavallo, ma non aveva altra scelta, così con gli occhi pieni di lacrime fu costretto a sparargli un colpo alla testa, fu la fine, il sangue era dappertutto, il cavallo soldato, gemette per l’ultima volta. Molti raccontarono, di averlo visto alzarsi con le zampe verso il cielo, prima che partisse il colpo del cecchino, quasi a voler significare che lo aveva fatto per salvare qualcuno, si era impennato per farsi colpire, per intercettare la pallottola destinata verso un altro obiettivo, forse era veramente così, il cavallo soldato, sensibile e intuitivo aveva percepito il pericolo che minacciava Eusebio, il suo cavaliere, così con il suo corpo decise di fargli da scudo per impedire che morisse.
Il Carabiniere eroe, aveva ascoltato questi racconti, voleva credere a questa verità, anzi gli piaceva pensare che questa fosse la spiegazione del gesto eroico di B. Sesana, ma un dubbio l’accompagnava, serpeggiava tra i suoi pensieri, come avrebbe mai potuto capire che quel proiettile avrebbe colpito proprio lui, il suo paladino, queste perplessità l’accompagnavano, ma l’idea che quella fosse la verità l’affascinava, lo riempiva di ammirazione, di rispetto per quel cavallo che ad ogni buon conto aveva dato la vita per salvarne un’altra.
Durò tre anni, quella guerra terrificante finì e lasciò dietro di sé macerie, disperazione e sangue, molti rimasero per sempre lì seppelliti nei campi di battaglia, così anche B. Sesana, fu lasciata laddove perse la vita, invece Eusebio si salvò, tornò a Roma e riprese servizio presso la caserma del IV° Reggimento Carabinieri a Cavallo, portandosi dietro tanti ricordi, tanti rimorsi, tanta angoscia per non aver potuto fare qualcosa di più.

La guerra ti segna dentro, ti apre delle ferite profonde, non si guarisce mai, la mente è sempre funestata da cattivi pensieri, immagini di morte, di sangue, ma soprattutto un pensiero lo accompagnava sempre, in ogni luogo, ovunque andasse o fosse, quello di B. Sesana, il cavallo soldato che per un triste destino non poté mai diventare il campione che avrebbe meritato di essere e che aveva compiuto un gesto, di quelli che si ricordano per sempre, che non si possono dimenticare, un cavallo bianco che si leva verso il cielo per riconquistare la sua libertà salvando la vita di un uomo.

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