URLO, ANCORA UN PARTO NELLA STORIA Claudio Mecenero

Attendevo, chi mi annunciasse L'alba
che ancora non mi arriva.
Che ciò che non è nominato
come un serpente, a volte
mi urla come il vento tra le foglie..
.
URLO,
ANCORA UN PARTO NELLA STORIA
.
là dove sempre sono
come un poeta folle,
a destra e a sinistra
scruto il fallo, che genera il vento.
Santo, questo mio nero buco
che vede nel fondo del mio sacco;
e ospita il serpente, che abita le grotte
e dalla notte, sale, avvoltolato sulla croce,
per assaggiare un Dio
che per troppo amore, toglie il respiro,
che di eterno mi diventa voce.
E santo il mio tormento, che striscia
nel roveto ardente
là dove la parola, vive vera,
rasente alla follia che scotta,
in questo tempo di passioni tristi.
Novecento volte ferito
novecento volte offeso.
Tra queste pareti collettive d'ospedale,
con quotidiani elettroschok
e psichiatria ad alto gradimento
tra carrelli della spesa,
alzheimer
con memoria ceduta a poco prezzo
e lobotomia gratuita,
incartata nel miglior inchiostro di penna da giornale.

Tutti in groppa
a cavalcare fornicando il treno
che su un binario morto, corre ebbro
verso la sua corsa folle.
Da questo terrazzo d'universo
dove ho visitato l'occhio cieco
e lo storpio che lì dorme.
Volto il ricordo
al parto di mia madre,
quando succhiavo avido il suo seno,
e le stringevo forte con la mano il dito.
Oh! adesso ancora, nudo e indifeso
stringo eoni di memoria,
ricolmi dei dolori e delle gioie
vissute nel corso della storia.
Scorrono i ricordi dei passi dei padri
e dei figli dei padri
e dei figli dei figli.
Li vedo scritti nei volti posti sulle lapidi,
a memoria.
Come altari vivi di saperi
che una volta
maneggiavano la vanga,
aravano la terra
e pregavano la speranza, con un bicchier di vino,
e una corona di rosario,
e raccontavano storie di barbastrio
e arrotolavano i baffi e si lisciavano la barba
e crescevano figli con le braghe corte, la fame lunga
e il mocio sotto al naso.
Novecento volte feriti
novecento volte offesi.
Partiti a respirar mostarda d'iprite
mangiando pan bagnato
col fango di trincea, nel Carso o nel Cadore
a colorar l'Isonzo con il sangue.
e scrivevano alle mamme
e ricevevano cartoline in bianco e nero
e avevano filo spinato
per piangere l'amore perso
e una sbiadita foto per sognare.
Tornati redivivi a ballare nelle aie
gettando al vento, i cappelli della guerra,
brindando l'amore che è rimasto, tra i fienili
rubando baci di speranza, tra l'uva dei filari
mietendo il grano dell'estate
e lievitando il pane di fatica.
Novecento volte feriti, ancora
novecento volte, ancora, offesi.
Partiti per la Russia o l' Albania,
e a sudar la fronte
tra gli spari in Abissinia,
fedeli sull'altare della patria
bevendo un calice ricolmo di sangue
e di follia.
O visti scesi dalle montagne
con novecento sogni di speranza
novecento fratelli da ricordare.
Cantando bella ciao,
coi fazzoletti rossi al collo,
gettando al vento i cappelli della guerra
e ribevendo la gioia dell'amore che è rimasto.
Tornando a piedi per l'Europa
a camminare passi di gioia e di sudore.
scesi nelle piazze
con un sogno già tradito
e novecento bandiere
a ricordare il patto di dignità sancito.
Novecento volte offeso
novecento volte tradito.
Guardate ora le vostre fucine
forse che fondono badili
o assemblano rastrelli?
no! è solo metallo pesante che viene lavorato,
e pesa come il piombo che non diventa oro
per putrefare ancora, lo stesso tanfo dell'iprite.
Lo stesso odore
che ha reclamato i morti a Reggio Emilia
le stesse urla in piazza a Brescia
o in banca a Milano,
lo stesso odore che ha invaso l'autostrada
alla morte di Falcone,
lo stesso boato davanti al portone
che ha ucciso Borsellino,
le stesse bombe che cadono dal cielo
come confetti
sulle teste delle mamme e dei bambini.
La stessa paura che ci coglie alla sprovvista
e tiene i conti, morti sulle spiagge
e nelle strade,
ora che pare arrivare da lontano,
che parla in fonemi strani
inneggiando un dio
che così è morto.
Novecento volte ferito
novecento volte tradito.
Eppur è sempre la stessa mano,
lo stesso specchio d'ombra
abile a far di conto, con l'occhio cieco
e il cuore incrostato di petrolio
e troppo,
troppo vicino
al portafoglio pieno,
e l'anima avvolta di carta impecorita
sporca di sterile sperma
che spreca e non dà vita.
.
No! non abbiate paura,
alzate la testa, volgete lo sguardo
al parto delle vostre madri
e delle figlie delle madri
e delle figlie delle figlie
Non hanno partorito forse nel dolore?
non hanno pianto poi di gioia?
non siamo noi il frutto, di questo pazzo amore?
che ha corso e correrà
tra tutti gli eoni della storia.
Non siamo noi i destinati al regno?
più nudi di un bambino
più crocifissi di un cristo sulla croce.
Pensate che fosse solo dolore?
quella voce, che nel perdono
ha respirato un parto eterno.
Non inseguite la prostituta nel deserto
non serve avere Babilonia grande,
divisa nelle lingue e nelle razze,
non servono le bombe, che cadono dal cielo
o esplodono con fragore, la paura d'animale
nelle strade e nelle piazze.
Abbiamo un ascolto più profondo
là dove sono le sorgenti
da bere e da ascoltare.
Là dove è, lo sposalizio eterno
che sempre si rinnova
e abita l'estate, come abita l'inverno.
Sdraiatevi all'abisso nudi e disarmati,
sentite con amore
come palpita e geme
il parto della terra.
Forse che anche voi
abbassando lo sguardo
o alzando gli occhi al cielo,
canterete
il salmo eterno del poeta:
.
"Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo!
Il mondo è santo! L'anima è santa! La pelle è santa!..........
......Tutto è santo! tutti sono santi! dappertutto è santo! tutti i giorni sono nell’eternità! Ognuno è un angelo!...... ( Allen Ginsberg )
.
Piegate dunque il ginocchio
e offrite le vostre ombre al cielo
che non sia più sola l'ombra,
divisa dalla luce
ma vi conduca al sole
là dove il poeta ancora vi risponde :
.
Santo perdono! pietà! carità! fede! Santi! Nostri! corpi! sofferenza! magnanimità!
Santa la soprannaturale ultrabrillante intelligente gentilezza dell'animo!...( Allen Ginsberg )
.
E novecento volte risorti, insorgeremo
e novecento volte vi guarderò, diversamente amabili
e novecento volte canterò con voi, nel dolore,
i salmi della gioia
.

Amen

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