Fornaro PD. Referndum Costituzionale: Per un voto libero e consapevole

Fornaro PD. Referendum Costituzionale: Per un voto libero e consapevole
Sono stato tra quei parlamentari che fin dall'avvio del processo di revisione costituzionale nel 2013 ha sostenuto che l'ultima parola su queste riforme dovesse comunque spettare ai cittadini, nonostante l'art.138 della Costituzione, come noto, non preveda la possibilità di ricorrere al referendum nel caso in cui le modifiche siano approvate dai 2/3 dei deputati e dei senatori.
Per questa ragione, fui favorevole alla proposta di modifica dell'art.138 (poi ritirata) che era stata presentata dall'allora Presidente del Consiglio, Enrico Letta, e sono stato tra quei parlamentari che hanno sottoscritto, nel 2016, la richiesta di referendum non essendo stato raggiunto il quorum dei 2/3 dei voti favorevoli nei due rami dei Parlamento.
Gli articoli della Costituzione, infatti, rappresentano in democrazia, per usare un'immagine tanto popolare quanto efficace, le «regole del gioco» che devono essere conosciute e condivise dal maggior numero possibile di cittadini e soprattutto, dovrebbero essere sottratte, alla dialettica politica del momento.
La forza di una Costituzione risiede, infatti, nell'essere vissuta come atto fondante della vita sociale e democratica dell'intera comunità nazionale e non come uno strumento modificabile dalle maggioranze di turno, a seconda dell'evolversi delle stagioni politiche.
Questo non significa - sia ben chiaro - che la Costituzione sia un testo intoccabile e che qualsiasi proposta di modifica sia da respingere a priori, ma proprio le norme contenute nell'art.138 sono la riconferma della necessità che il «cambio delle regole del gioco» debba avvenire ricercando il massimo consenso possibile prima in Parlamento e poi nel corpo elettorale più vasto.

Nella fase della discussione parlamentare delle riforme, sono stato tra quei senatori che hanno sostenuto che pur in un condivisibile quadro di bicameralismo differenziato (la sola Camera dà la fiducia al Governo), il Senato dovesse comunque continuare ad essere eletto dai cittadini e non diventare un organo di secondo grado.
Il compromesso faticosamente raggiunto nella maggioranza prevede che almeno i 74 senatori-consiglieri regionali siano eletti dai consigli regionali, in conformità alle scelte espresse dagli elettori in occasione delle elezioni regionali.
Per dare attuazione al nuovo testo dell'articolo della Costituzione sulle modalità di elezione del Senato, nel gennaio 2016, sono stato il primo firmatario di una soluzione che conferisce agli elettori il potere di scelta del senatore del proprio territorio (che sarà anche consigliere regionale), sottraendolo alle segreterie dei partiti o ai direttorii dei movimenti. 
Purtroppo però, il Governo non ha voluto scrivere chiaramente che il nuovo Senato è elettivo, il testo della riforma su questo punto si presta a interpretazioni contradditorie e opposte.
Allo stesso modo, è essenziale che i cittadini riflettano sulla legge elettorale con cui sarà eletta la Camera dei Deputati, a maggior ragione dopo le critiche che sono piovute, da ultimo dal Presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, sul sistema di elezione meglio conosciuto come Italicum.
Nel mese di luglio, sono stato il primo firmatario di un disegno di legge sulle norme per l'elezione della Camera, ribattezzato Mattarellum 2.0, che trova, a differenza dell'Italicum, un migliore equilibrio costituzionale tra le esigenze della governabilità e quelle della rappresentanza, restituendo agli elettori il potere di scelta dei loro rappresentanti a Montecitorio.
Chi testardamente e un po' ossessivamente ha ripetuto in questi mesi non vi sia un legame tra leggi elettorali e riforme costituzionali, continuando a negare l'evidenza, non ha certo aiutato il cittadino-elettore a formarsi una opinione consapevole e matura sul risultato della nuova architettura costituzionale combinata con l'Italicum, entrato in vigore il 1 luglio 2016.
Una legge elettorale che presenta limiti gravi e criticità sistemiche (capilista bloccati, scelti dal partito e non dagli elettori, pluricandidature, collegi territorialmente troppo estesi, ballottaggio nazionale), evidenziati nella discussione parlamentare da quei deputati e senatori PD - io tra quelli - che, in dissenso dal gruppo, non parteciparono al voto sul provvedimento.
In Parlamento il sottoscritto ha votato a favore del disegno di legge di riforma costituzionale, non ha partecipato al voto sull'Italicum e domenica 4 dicembre voterà convintamente NO al referendum.
In tempi non sospetti, infatti, ho sostenuto (e lo riconfermo) che nella riforma oggetto del quesito referendario ci sono cambiamenti utili e convincenti (ad esempio il principio del superamento del bicameralismo paritario e il quorum mobile sui referendum) e altri contraddittori e pasticciati (funzioni e composizione del Senato e retromarcia centralista nel rapporto Stato-Regioni) e che l'intero disegno riformatore andasse giudicato alla luce dell'entrata in vigore, il 1 luglio scorso, della nuova legge elettorale della Camera (l'unica con un rapporto fiduciario con il Governo), meglio nota come Italicum, che, nei fatti, può alterare gli equilibri costituzionali tra rappresentanza e governabilità e quelli, non meno importanti per una democrazia, tra Esecutivo e Parlamento.
In ultimo, poi, il mio convincimento per il NO al referendum si è rafforzato alla vista di manifesti ufficiali e ufficiosi a sostegno del SI' improntati alla più bieca stagione dell'antipolitica, con i parlamentari, in particolare i senatori, ridotti unicamente a poltrone e stipendi da tagliare.
La strada maestra da seguire (ma non la si è voluta percorrere per precisa volontà del Governo) per raggiungere il condivisibile obiettivo della riduzione dei parlamentari era molto semplice: una Camera di 400 deputati e un Senato con 200 senatori.
Quando votai la riforma, mai avrei pensato di autorizzare un simile scempio, degno della peggiore stagione del qualunquismo e del più becero antiparlamentarismo: altro che SI' come argine contro il populismo e i piccoli Trump nostrani. 
Voterò e invito a votare NO, dunque, non certo perché si debba avere paura del cambiamento, ma anche per difendere un patrimonio di cultura costituzionale e istituzionale del centro-sinistra italiano che, dal lontano 1946, ha sempre interpretato la Costituzione come il simbolo dell'unità, della coesione nazionale e un argine contro le derive antidemocratiche, e non certo come uno strumento per dividere e lacerare il già fragile tessuto democratico della nostra Italia.
Federico Fornaro

Senatore della Repubblica 

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