In Rai i conti tornano solo per “l’abbronzato” Carlo Conti

(Giorgio Arnaboldi per La Verità) - «Fare un budget alla Rai è come giocare un terno al lotto. Le uscite si possono prevedere, le entrate non le conosce nemmeno il mago di Napoli. Ogni anno è lo stesso rito. Ci sarà o non ci sarà l' adeguamento del canone? Boh. Il governo farà una ricapitalizzazione o no?
Boh. Quale sarà il gettito della pubblicità con la crisi? Boh. E con i boh non si fanno i budget».
Sono trascorsi 25 anni da questa frase sconsolata di Gianni Pasquarelli, ex direttore generale che nel 1990 sedette sulla poltrona dell' onnipotente Biagio Agnes e poi, per riflesso condizionato, fece 1272 assunzioni in un triennio. Sono passati cinque lustri invano perché è bastato girare la boa di fine anno per addentrarsi nella giungla dei «boh 2.0». Nell' eterno e irriformabile carrozzone di Stato il marasma finanziario è totale e in questo inizio di 2017 anche Antonio Campo Dall' Orto s' è accorto che il canone in bolletta non evita necessariamente di finire in bolletta.
ALLARME CONTI IN ROSSO
Così, mentre escono i compensi faraonici per il Festival di Sanremo e i numeri da Guerra del Golfo degli inviati in riviera (56 solo per la radio), scatta un nuovo allarme conti: un miliardo e 600 milioni di euro di introiti da abbonamenti e 680 milioni da spot pubblicitari non bastano più a evitare un rosso pesante, circa 400 milioni. La conseguenza è di nuovo una sola: le mani della Tv di Stato nelle tasche degli italiani.

Questa volta a subire il prelievo non saranno i privati, messi in riga dal canone nella bolletta dell' energia elettrica (evasione abbattuta al 6%), ma gli esercizi commerciali come bar, ristoranti, alberghi, uffici pubblici, che costituiranno il target dell' extragettito con l' introduzione di un canone speciale da pagare con il bollettino, alla vecchia maniera. Una strategia finora perdente, se è vero che l' evasione è arrivata al 60% per un introito di settore di soli 90 milioni di euro.
Così il direttore finanziario Raffaele Agrusti ha pensato di sostituire i cosiddetti «soldatini» (gli ispettori stile Gogol che bussavano porta a porta per essere presi a male parole e qualche volta a schiaffi) con una task force di cinque società di riscossione crediti che dovranno rastrellare 50 milioni di euro in più nei prossimi tre anni.
In fondo anche questo è un «boh» di democristiana memoria perché nulla di certo più essere messo a bilancio. E allora Campo Dell' Orto ha deciso di dare un giro di vite anche al magico mondo degli spot pubblicitari: la Rai non farà più sconti agli investitori, scioglierà i pacchetti, aumenterà i prezzi già alti rispetto ai concorrenti.
Oggi il costo medio netto per ogni secondo di pubblicità è di 199 euro sulla Rai contro i 128 su Mediaset. È evidente che in assenza di un enorme salto di qualità nelle proposte di contenuto e di spettacolo, la mossa potrebbe regalare quote di mercato ai concorrenti, esattamente come durante l' era della pax televisiva degli anni Novanta.
Ma i conti sono conti e il Conti va pagato (650.000 euro per cinque serate).
Il problema è proprio questo, l' incapacità strutturale della Rai di darsi un' efficienza, una sobrietà, una produttività all' altezza dei tempi e dei concorrenti. A fine anno, mentre già si immaginavano nelle segrete stanze questi provvedimenti, una manina premiava 1.560 dipendenti (dei 10.900 assunti a tempo indeterminato) con cinque milioni di euro.
Le hanno chiamate gratifiche ai più meritevoli: 400 promozioni, 460 aumenti di stipendio, 700 premi una tantum.
Il moloch è bulimico e gli effetti della riforma Renzi sono già svaniti, anche perché l' inserimento del canone in bolletta ha sì allargato la base dei contribuenti, ma ha visto decrescere l' importo unitario da 100 a 90 euro, che diventano 75 se si toglie la trattenuta statale. Sembra impossibile, ma in un' Italia che per anni ha stretto la cinghia, la Rai continua a rappresentare una Casta di mangiatori di brioches.

ESERCITO DI GIORNALISTI
Un' enorme redazione in cui c' è un capo ogni quattro giornalisti. Un esercito di 347 fra direttori e vice, capiredattori e inviati con stipendi pesantissimi. Un' azienda che, senza il minimo senso del ridicolo, manda 200 fra giornalisti e tecnici alle Olimpiadi di Rio per riprendere e intervistare 146 atleti italiani. Un marchio storico, che ha ancora un primato di credibilità, ma che non riesce a dimagrire ed è appeso alle leggine assistenziali per non pagare dazio.
Gli intoccabili, storia vecchia.
E infatti Campo Dell' Orto non li tocca, più facile mordere con un canone extra. Durante il terremoto di Amatrice un' inviata sconfortata ha twittato: «Sky ha un cameraman con uno zainetto senza giornalista. Noi un esercito senza telecamere». Esemplare, ma non basta. In Sardegna la Rai ha due sedi, a Cagliari e a Sassari.
In quest' ultima lavorano sette persone con 1100 metri quadrati a disposizione: 157 metri a testa. Una pista di decollo per scrivania.
Se la Rai doveva tirare la cinghia perché si è proceduto con l' assunzione indiscriminata di così tanti dirigenti esterni? E perché ci sono così tanti dirigenti pagati per non fare nulla?
Quanto sono costati prepensionamenti e uscite con incentivi? Se la Rai ha navigato a vista non può scaricare le colpe sul governo o battere ancora cassa». Non fa una piega. Anche se la Rai batte cassa da quando è nata in un tiepido giorno di aprile del 1954.



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