Pedofilia e suicido, by Agostino Pietrasanta

Domenicale ● Agostino Pietrasanta
Due cose sono certe: Tonino Marci è accusato e imputato di violenza sessuale su minori, già impegnati nelle squadre di calcio giovanili affidate alle sue “responsabilità tecniche”; inoltre, incarcerato, dopo tre giorni di detenzione, è deceduto per soffocamento. Il resto è avvolto nel mistero che, ci si augura, sarà chiarito dopo l’acquisizione definitiva delle risultanze dell’autopsia.
L’accusa è pesantissima, di quelle che suscitano immediate reazioni di sdegno; non sta a noi aggiungere ulteriore giudizio, mi limito a tre osservazioni di quadro, sempre con l’avvertenza che la colpevolezza penale la decidono i processi e non le canee, sia pure spiegabili, della piazza.
La prima. Un detenuto, qualsiasi detenuto, per quanto grave sia l’imputazione a carico (e quella a carico di Marci va annoverata tra queste) viene affidato alla responsabilità diretta delle istituzioni; privato della libertà personale, ha diritto, per dettato di legge, alla propria incolumità. La successiva eventuale sanzione spetta alle autorità giudiziarie. Ora, troppe volte si verificano incresciosi incidenti a carico di detenuti, in attesa di giudizio. Ciò, in uno Stato di diritto non può essere tollerato; come possa accadere non sappiamo, le chiacchiere che si sprecano non contano nulla, le responsabilità dirette non sono decifrabili. Come cittadini constatiamo la contraddizione: un fenomeno inaccettabile.

Seconda. Nel caso in trattazione, si verifica un fenomeno rilevante di accuse che pervengono dopo decenni di silenzio. Ciò che colpisce e che costituisce riserva non è certo il coraggio di chi finalmente parla, ma il tempo decorso dai presunti fatti alla sua presa d’atto. Certo, l’opinione pubblica si è resa conto della reticenza dei minorenni offesi e ne spiega le ragioni. A mio parere però le motivazioni più radicate stanno nell’atmosfera diffusa e nelle convinzioni a lungo tenute sotto traccia e non certo superate che “certe cose non vanno dette” mentre, sempre a lungo si sono rimossi i presupposti alternativi che “certe cose non vanno fatte”. Intendiamoci, tutti sanno bene e giudicano altrettanto severamente le devastanti conseguenze delle forme aberranti, ma talora presenti della pedofilia nei rapporti trae persone responsabili ed i minorenni; ma è altrettanto constatata la prassi del silenzio sempre colpevole quando si tratti di autentici reati di cui non ci riteniamo direttamente vittime. Gridare allo scandalo dopo, e molto dopo, non serve ad evitare la devastazione dei comportamenti più deviati.
Terza ed ultima constatazione. Dopo il presunto suicidio di Tonino Marci si è scatenata sui social network una penosa canea di epiteti all’indirizzo di un morto di cui fino alle accuse espresse non si era mai proposta alcuna riserva; eppure, almeno si dice, molti sapevano. La prassi di colpire “l’uomo morto” che non può più difendersi, mi procura reazioni di radicale rifiuto; se quanto dico fosse oggetto di reazioni ed insulti non mi farebbe indietreggiare di un passo, anche perché gli insulti agli eventuali colpevoli non risolvono certo i problemi che hanno devastato le vittime, né sul piano economico, né su quello, ben più grave delle conseguenze morali e psicologiche,.
Ma tant’è: è più facile sdegnarsi, magari anche a giusta ragione, che contribuire a risolvere le più diverse distorsioni umane fin che i tempi lo permettono.



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