Charlie. Tra accanimento e abbandono terapeutico, la terza via della solidarietà

La vicenda delicatissima del piccolo Charlie sta animando una discussione vasta e profonda che, salvo marginali eccezioni, mostra rispetto verso le diverse posizioni e, primariamente, verso il dolore dei coniugi Gard. “Quando vengono in discussione nozioni complesse e che toccano le corde più intime dell’esistenza umana, come quella di accanimento terapeutico o quella dei best interests del minore, – scrive Renato Balduzzi nella rubrica Pane e giustizia pubblicata oggi suAvvenire – prudenza e mitezza sono d’obbligo”. Ciò non sottrae dall’approfondimento di alcuni profili delle decisioni dei giudici britannici e della Corte europea dei diritti dell’uomo che hanno scandito la triste vicenda.
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Ufficio stampa del prof. Renato Balduzzi

CharlieTra accanimento e abbandono terapeutico, la terza via della solidarietà
Renato Balduzzi
giovedì 6 luglio 2017
La vicenda del piccolo Charles Gard (per tutti Charlie) è triste e delicatissima e al momento non possiamo prevederne gli sviluppi. I toni sinora usati nella discussione pubblica, almeno in Italia, sono confortanti. A parte qualche, peraltro marginale, tentativo di presentare una fredda e insensibile Europa come alleata di altrettanto freddi e insensibili magistrati britannici ed europei (la Corte europea dei diritti dell'uomo appartiene a un ordinamento diverso dall'Unione europea e tra l'altro si estende a Russia e Turchia), i commenti sono stati misurati. Quando vengono in discussione nozioni complesse e che toccano le corde più intime dell'esistenza umana, come quella di accanimento terapeutico o quella dei best interests del minore, prudenza e mitezza sono d'obbligo. Ciò premesso, alcuni profili chiedono di essere approfonditi.

In primo luogo, la Corte europea, nel motivare le ragioni che la inducono a reputare fondate le decisioni dei giudici britannici contrarie alle richieste dei genitori del bimbo, premette di considerare appropriato che, in caso di contrasto tra medici e genitori sulle cure da somministrare al bambino, i primi si rivolgano al giudice perché lo risolva. Viene da chiedersi se e in quali limiti la premessa valga anche per la decisione sul luogo dell'assistenza sanitaria: si consideri che, grazie alla straordinaria raccolta fondi promossa dai coniugi Gard, l'eventuale trasferimento di Charlie negli Usa o all'ospedale Bambino Gesù avverrebbe senza oneri per la collettività (un trasferimento che, stando al giudice britannico di primo grado "sarebbe problematico, ma possibile"). La risposta della Corte, secondo la quale i giudici britannici avrebbero correttamente autorizzato l'ospedale a sospendere il sostegno vitale in quanto una sua prosecuzione creerebbe sofferenza al bambino senza che vi siano speranze di miglioramento (e avrebbero ragionato analogamente sul trasferimento negli Usa per un pioneering treatment), appare debole perché trascura di bilanciare tali considerazioni (per giunta espresse in quelle decisioni con espressioni dubitative: "potrebbe causare dolore", "è probabile che comporti sofferenza") con i valori in discussione.

Secondo, la Corte europea sembra sottovalutare la necessità di fare i conti, a proposito dei best interests dei minori, con il rispetto della responsabilità genitoriale, profilo importante di quel rispetto della vita privata e familiare che la Corte spesso interpreta estensivamente e che, in questo caso, resta sullo sfondo. Tra accanimento e abbandono terapeutico, la terza via della solidarietà, così compostamente fatta presente dai responsabili dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, può costituire la soluzione più degna, dunque più umana

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