Giorgio Laguzzi: CETA Oltre pensiero angelico e sospetti demoniaci (1° puntata)

A pochi giorni dall’inizio del dibattito sul Ceta nel Parlamento italiano, il Consiglio comunale di Alessandria si è espresso con un Ordine del Giorno voluto dalla Lega Nord su cui il Partito Democratico non ha partecipato al voto principalmente per ragioni di metodo. In pochi giorni la maggioranza ha imposto una discussione che, a livello locale, meritava un confronto preventivo con le associazioni di categoria alessandrine. Un tema così complesso meritava un approfondimento diverso, molto più orientato a comprendere le ragioni profonde di un tema che ha spaccato trasversalmente sia il centrodestra che il centrosinistra in tutta Europa. L’assemblea alessandrina ha così deliberato in modo frettoloso senza dibattere con i soggetti davvero interessati. Detto questo, sulle ragioni di merito proviamo a offrire un contributo critico, firmato da Giorgio Laguzzi riassunto in due puntate, per la complessità dell’argomento, in subitanea frequenza.
Giorgio Abonante

Introduzione: il CETA tra fautori e detrattori
“Comprehensive Trade and Economic Agreement, noto con l’acronimo CETA, consiste nell’accordo di libero scambio bilaterale tra Canada e UE. Il campo politico, come spesso accade, si è diviso tra favorevoli e contrari, tendenzialmente in base alla loro appartenenza partitica. Va registrato a riguardo che il partito che forse più ha subito una divisione è stato proprio il PD, nel quale diversi europarlamentari hanno votato contro tale accordo, non in conformità con la maggioranza del gruppo. Questo breve intervento parte dal presupposto di evitare le posizioni sia di chi da un lato saluti qualsiasi accordo di libero scambio e qualsiasi processo derivante dalla globalizzazione come qualcosa di positivo, e dall’altro chi invece tema che tali processi ed accordi siano frutto di una qualche setta oligarchica multi- e sovranazionale che ordisca progetti e trame ai danni della classi medie e popolari. Evitare dunque sia un superficiale pensiero angelico della globalizzazione, sia un opposto sospetto demoniaco e paranoico di cospirazioni plutogiudaiche globali. Per evitare però al contempo di cadere dell’altrettanto fastidioso limbo dell’imparzialità, affermo subito la mia posizione critica e scettica nei confronti di trattati commerciali come il CETA.


Pensiero ormai abbastanza comune tra molti economisti è che la globalizzazione, data per buona la sua spinta propulsiva, abbia generato una distorsione nella distribuzione della ricchezza prodotta portando un miglioramento in fasce poverissime delle popolazioni nei paesi sottosviluppati, ma al contempo una caduta delle condizioni economico-sociali del ceto medio e popolare dei paesi occidentali, seguito però, in questi stessi paesi occidentali, da una concentrazione di ricchezza nei ceti elevati di tali società (curva “ad elefante” di Milanovic). Non vanno inoltre sottovalutate le metodologie con le quali il processo di globalizzazione è stato talvolta portato avanti in maniera distorta, e forse anche coercitiva, da parte dei maggiori protagonisti occidentali e dalle istituzioni internazionali come il FMI (si veda [8]). Si consideri infine che non è esigua neanche la schiera di coloro i quali reputino che, dopo gli effetti positivi della fase espansiva della globalizzazione negli anni ’80 e ’90, in questo nuovo periodo di inizio secolo la globalizzazione abbia invece raggiunto un livello di saturazione (iperglobalizzazione), col conseguente serio rischio che ulteriori accordi di libero scambio possano in realtà non dare contributi positivi sostanziali alla crescita economica, e possano invece avere negative ricadute quali l’ulteriore compressione del reddito da lavoro e l’aumento della disoccupazione. Sul tema della iperglobalizzazione e dei suoi rapporti con le democrazie occidentali, si consideri anche la grande influenza avuta nei recenti anni dall’economista Dani Rodrik ([7]). Fatte queste dovute premesse, e sottolineando anche che sicuramente esistono diversi punti positivi nell’accordo bilaterale in questione, vorrei esprimere, come dicevo poco sopra, la mia posizione scettica sul CETA, e concentrare su due punti le argomentazioni a sostegno di tale scetticismo: i discutibili e poco accertati vantaggi economici dell’accordo e il cosiddettoInvestment Court System per la risoluzione di contenziosi tra Stati e investitori, che sarà oggetto di un successivo post (seconda puntata).
Primo punto: discutibili e poco accertati vantaggi economici dell’accordo.
Non è ovviamente mia intenzione sviluppare una analisi eccessivamente tecnica in queste righe, ma è allo stesso tempo necessario provare ad addentrarci quantomeno in maniera superficiale nei principali lavori sviluppati per comprendere i possibili scenari economici derivanti dall’accordo. Le relazioni [1],[3],[4],[5] riportano i lavori di alcuni economisti per valutare l’impatto macroeconomico del CETA. I risultati riportati in questi paper sono principalmente positivi, seppur con qualche effetto negativo (si noti ad esempio in [1] il fatto che i paesi dell’UE, esclusi i nuovi membri post 2004, vedrebbero in realtà un calo del welfare all’interno delle loro nazioni). Molte però sono le critiche avanzate a tali studi, molte delle quali attentamente riportate ed esaminate nel recente paper [6]. Tali critiche sono principalmente incentrate sulla metodologia di previsione adottate nei quattro paper, tutte basate su modelli GCE (Computable General Equilibrium model), i quali sarebbero basati su assunzioni troppo distanti dalla realtà. Si pensi, ad esempio, che tali modelli assumono come presupposti basici la piena occupazione e la completa conversione dei guadagni delle imprese in investimenti. Risulta dunque abbastanza chiaro che, proprio in una fase economica come quella corrente all’interno della UE, in cui tra i principali fattori della crisi vi siano proprio la disoccupazione e il calo degli investimenti, tali assunti basici siano quantomeno fuorvianti, per non dire completamente irrealistici. A tal proposito in [6], gli autori, dopo una dettagliata analisi critica di [1], [3],[4] e [5], eseguono uno studio basato su un altro tipo di modello, il GPM (Global Policy Model) delle Nazioni Unite, basato su assunzioni aventi una maggior valenza empirica. I risultati ottenuti mediante tale studio sono tutt’altro che idilliaci, evidenziando in realtà diversi punti deboli e possibili conseguenze negative: perdita di circa 227mila posti di lavoro (di cui 204mila all’interno dell’UE), diminuzione della domanda interna all’UE, perdita ulteriore del reddito da lavoro (stimato intorno ai €1776 annui per il Canada e dai €316 ai €1331 annui per l’UE, in base allo Stato di appartenenza), una riduzione complessiva del welfare, pari allo 0,96% e allo 0,46% del PIL, rispettivamente in Canada e UE (in particolare l’Italia sarà colpita con una caduta pari allo 0,76%), una crescita negativa del PIL, pari -0,12% in Canada e a -0,06% in UE (Italia: -0,11%); senza considerare gli effetti più prettamente politico-sociali derivanti da tali fattori economici, quali l’aumento delle distanze e della tensione tra ceti medi-popolari e ceti emergenti. Ovviamente anche il modello GPM presenta approssimazioni e lacune, ma tende a tenere in considerazione aspetti empirici che i modelli ad impostazione neoclassica usati negli altri paper non fanno. E soprattutto lo studio in [6] ha il grande merito di far comprendere come manchino assolutamente le evidenze scientifiche, da un punto di visto macroeconomico, per procedere con l’attuazione del trattato, e considerare quindi il CETA come una reale opportunità di miglioramento. Al contrario, lo scenario che potrebbe pararsi davanti tra qualche anno sarebbe quello di un ulteriore peggioramento della situazione economica all’interno dalla UE, già minata da una stagnazione economica ed una conseguente crisi sociale che perdurano ormai da quasi un decennio.
Secondo punto: Investment Court System (seconda puntata)
Giorgio Laguzzi
Akademischer Rat presso Albert-Ludwigs-Universitaet Freiburg
Riferimenti Bibliografici
  1. Cameron, Loukin (2001) “Canada – European Union trade and investment relations: the impact of tariff elimination”, Canadian Department of Foreign Affairs and International Trade. 2. Cincotti, Eberhardt, Grotefendt, Olivet, Siclair (2016) “Investment court system put to the text”, Canadian Centre for Policy Alternatives, Corporate Europe Observatory, Friends of the Earth Europe, German Forum on Environment & Development, Transnational Institute. 3. Hejazi, Francois (2008) “Assessing the Costs and Benefits of a Closer EUCanada Economic Partnership.” A Joint Study by the European Commission and the Government of Canada. 4. Kirkpatrick et al. (2011) “Trade Sustainability Impact Assessment (SIA) on the Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) between the EU and Canada: Final Report.” 5. Kitou, Phillippis (2011) “A Quantitative Economic Assessment of a Canada EU Comprehensive Economic Trade Agreement.” presented at the 13th Annual Conference on Global Economic Analysis, Penang, Malaysia. 6. Kohler, Storm (2016) “CETA without blinders: how cutting trade costs and more will cause unemployment, inequality and welfare losses”, Journal of Political Economy, Vol. 45, Issue 4. 7. Dani Rodrik (2011) “La globalizzazione intelligente”, Laterza. 8. Stiglitz (2002) “La globalizzazione e i suoi oppositori”, Einaudi.





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