Giorgio Abonante: quel “passante” che prima o poi ti aspetti

Al cospetto della attuale situazione politica italiana, ma non solo, un militante di sinistra è riconducibile alla figura di quel tennista frastornato dai colpi dell’avversario in una posizione debole, con la speranza che il suo contendente prima o poi sbagli il colpo, ma con la quasi certezza di essere infilato da un facile passante lungolinea. 
Tutti i segnali sono chiari, eppure non si ha la forza e la lucidità di reagire in modo efficace. La vittoria della Brexit, la sconfitta al referendum italiano di dicembre scorso, Trump che conquista la Casa Bianca, le istanze secessioniste che riprendono vigore, l’avanzata delle destre, e infine le nostre sconfitte alle amministrative. Ovunque crescono le posizioni che puniscono il centrosinistra riformista e le forze che hanno concorso a plasmare l’Europa: l’unico vero sogno politico della mia generazione.
Tutto ciò dimostra un malessere profondo, che si radica nell’assenza di un pensiero politico e di una teoria economica alternativa alla corrente ortodossia. 
Mi riferisco all’esplicitazione di un’idea forte, originale, che sappia riconnettere le cittadinanze alla dimensione politica senza che queste facciano riferimento ai miti pericolosi del nazionalismo e del Dio, Patria, Famiglia. Noi stessi non riusciamo a ritrovare il filo conduttore del Governo delle cose e delle persone, che per il nostro campo valoriale significa miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini più in difficoltà e di crescita della civiltà in cui viviamo. 
Non riusciamo a ritrovarci in una lotta di classe riformatrice che, qualora fosse ripresa, riconnetterebbe le istanze dei più deboli, spazzando via quelle differenze di pelle e di confine che sono solo l’indicatore di una difficoltà dalla quale i ceti più disagiati non riescono a uscire, se non con lo sventaglio di facili capri espiatori.


Proprio verso questo smarrimento che colpisce i più deboli – e qui sta il paradosso – noi dovremmo opporre una lettura economica, materiale e politica all’altezza dei tempi. Necessiterebbe solamente ascoltare quei pensatori più attenti della sinistra mondiale che da tempo ci suggeriscono la necessità di rompere con il meccanismo mortale della finanza e conseguentemente di rivedere quei diabolici equilibri che perpetuano le condizioni di forza dei più abbienti.
Ovunque si perde e si arretra. Anche dove non c’è Renzi. Perché è ora di sgomberare anche il campo da questo equivoco. Certo, Renzi non aiuta, ma non aiutano nemmeno le divisioni, la moltiplicazione delle sigle: quel virus che antepone le sfumature o le differenze al nostro interno rispetto alla necessità di fare massa critica e compatta a salvaguardia dei nostri ceti di riferimento.
Qual è il risultato finale di tutto ciò? Un socialismo continentale impalpabile e incolore, inabile a creare un pensiero ed una pratica europea capace di riallineare le condizioni di vita e di lavoro delle classi produttive, sia quelle che possiedono solo le proprie braccia e il proprio cervello, sia quelle che dispongono anche di strumenti di idee e di capitali.
Se per incanto ciò accadesse, verrebbero meno anche le pulsioni sovraniste e xenofobe, che non sono una condizione data e intoccabile. Sono un effetto della presente afasia dei valori universali della socialdemocrazia.

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