Alexandria, una FMR di casa nostra, by, Pier Carlo Fabbio

by, Pier Carlo Fabbio LMCA. Alessandria
Ogni tanto sono fortunato a trovare in giro vecchie copie di una rivista che ha sempre colpito la mia attenzione, da una parte per la tendenza a fare divulgazione storica; dall’altra a sviluppare un percorso di conoscenza di giovani o meno giovani talenti artistici del più puntuale genius loci del tempo. In aggiunta, la pubblicazione, edita per soli sei anni, dal 1933 al 1939, mi consente di capire come una classe di studiosi moderati potesse tentare di relazionarsi con il regime fascista all’apice della sua popolarità.
Si tratta di “Alexandria”, rivista mensile della provincia, di indubbia eleganza e probabilmente di “sicura importanza” nel panorama culturale alessandrino, al punto che ha persino ispirato, un suo ideale prolungamento, a partire dal 1995, che non a caso si è chiamato “Nuova Alexandria”.
Torno subito agli Anni Trenta e alla “sicura importanza” che questa rivista assume in un contesto culturale ove i temi storici e archeologici locali erano di norma approfonditi con studi scientifici dalla “Rivista di Storia Arte e Archeologia”. La sua cadenza, la scelta dei temi da raccontare e probabilmente il suo peso politico nelle gerarchie locali fasciste, la proponevano come un esempio ad alto tasso di qualità. Non proprio una FMR (Franco Maria Ricci) ante litteram, ma, pur nella sua sobrietà editoriale dovuta all’uso di un quasi obbligato bianco e nero – allora i giornali costavano ben più di quelli odierni –, Alexandria era additata come un vero e proprio punto di riferimento, anche di carattere estetico.
Persino l’autorevolissima voce dell’Osservatore Romano, nel 1936, si era impegnata in un elogio senza discussioni:
“Recentemente quasi ogni città, ogni provincia di qualche importanza, ha avuto l’iniziativa di una rivista locale, mensile, illustrata, di vario formato e carattere. Sunt bona mixta malis, a seconda degli intendimenti e della preparazione dei promotori, dei direttori e dei collaboratori. Alcune sono ottime, altre appena discrete, altre superflue perché redatte con facili criteri di superficialità pubblicitaria; non hanno una finalità corrispondente ai sacrifici e fini e agli scopi di tali iniziative. Fra le migliori è da collocarsi Alexandria, giovane di appena tre anni ma che per la serietà, la varietà e la novità dei suoi articoli e delle sue illustrazioni può essere additata ad esempio”.

Non male per una rivista lontana dalla capitale, pur se la città e la provincia tendeva a mantenere la sua rilevanza strategica nello scacchiere nazionale ormai ben più ampio di quello sardo piemontese che aveva caratterizzato per più di un secolo, la sua centralità militare. E non male per la connessione con i vertici del fascismo locale, in un’atmosfera dove probabilmente prevaleva più il carattere di una “Critica fascista” di Giuseppe Bottai, piuttosto che quello più istituzionale del fascismo e della censura delle idee non allineate, personificato da Roberto Farinacci.
Del resto di Giuseppe Bottai si è scritto bene, ma dopo la sua morte. Lo ha fatto un suo stretto collaboratore, Massimo Rocca:“Sentivamo di aver ragione, anche se eravamo i più deboli, e fu questa convinzione che poi permise a Bottai, rimasto nel partito, di attenuare, per quanto possibile, il dispotismo spesso cieco del partito e del governo, nei loro rapporti con gli intellettuali italiani”. (Massimo Rocca in Guerri Giordano Bruno, Giuseppe Bottai, fascista, Milano, 1996, pag. 59)
Dal canto suo, Renzo De Felice, lo storico che di più ha contribuito ad una lettura rivoluzionaria del fascismo e le cui imponenti ricerche hanno di fatto riscritto la storia del Novecento italiano, ha dimostrato proprio quello che con la rivista Alexandria succedeva. Fino al 1936 il regime ebbe un grande e massiccio consenso, diffuso non solo tra le masse, ma anche tra i più grandi intellettuali del suo tempo. E il consenso non scemò con l’entrata in guerra, perché fu comunque assai maggiore di quello che aveva accompagnato la prima Guerra mondiale.
In effetti Alexandria era condiretta da Mario Levi de Veali, avvocato, docente universitario, studioso di diritto del lavoro, ebreo, perfettamente integrato nella borghesia della città. Il Levi de Veali era anche Presidente dell’Istituto Fascista di Cultura, un’istituzione fondata sul modello dell’Università popolare. Durante il suo mandato, oltre alle conferenze tenute da relatori nazionali e locali, centinaia ogni anno, si tentarono anche le conversazioni rionali, coll’obiettivo dichiarato di avvicinare quante più persone possibili alla cultura e alla storia.
Ma l’Istituto Fascista di Cultura organizzava anche gite (ad esempio tra i castelli del Monferrato nel 1937), concerti di musica da camera e addirittura corsi di lingua straniera, alla faccia dell’italianizzazione spinta a cui vennero ad esempio sottoposti i nomi di alcune località, come Breuil divenuta Cervinia, oppure Saint Vincent trasformata in San Vincenzo delle Fonti ovvero ancora Sauze d’Oulx, italianizzata in Salice D’Ulzio, per non parlare di Valtournanche, diventata Valtornenza.
A fianco di Levi de Veali il condirettore di Alexandria, il conte avv. Giovanni Zoppi, anche se la vera anima operativa della rivista la si individua in Riccardo Scaglia, redattore capo.
Giovanni Zoppi, dal canto suo era Presidente della Società di Arte, Storia e Archeologia e quella sinergia di cui parlavo prima tra approfondimento e divulgazione era la realtà che accompagnava la Società e Alexandria. In aggiunta direttore della Rivista di Storia Arte e Archeologia era Mario Viora, che aveva sostituito lo scomparso Don Francesco Gasparolo. Zoppi era rimasto presidente della Società, fino a quando, nel 1935, il Ministro dell’Educazione Popolare Cesare Maria De Vecchi, aveva deciso di fare confluire tali istituzioni nella Regia Deputazione Subalpina di Storia Patria. Ne diventò Presidente proprio Mario Viora.
Ritornando ad Alexandria e all’alta attenzione che il regime teneva sulle produzioni culturali, è bene ricordare come fosse organizzata la rivista in termini di struttura.
Il formato, innanzitutto, un 25×33. Un poco desueto se si pensa che popolari riviste come “I libri del giorno”, “La lettura” oppure “Le vie d’Italia” utilizzavano il più maneggevole 17×25. Così come la più famosa “Civiltà fascista”, che poté contare sugli scritti della crema dell’Italia intellettuale dell’epoca.
Forse riviste come “Critica Fascista” di Bottai (20×30) dettavano un poco di più ad “Alexandria” la via del grande formato.
Il costo? Tre lire a numero. Meglio abbonarsi in quanto 12 fascicoli sarebbero costati solo 30 lire. Un prezzo rapportato ai quotidiani dell’epoca che costavano nel 1939, quando iniziò la seconda guerra mondiale, 30 centesimi, mentre ci volevano già tre lire nel 1945 quando gli stessi quotidiani annunciarono la fine del conflitto.
Ovviamente era possibile l’abbonamento da sostenitore, ma occorrevano 100 lire.
L’amministrazione, pronta a ricevere l’introito, aveva sede in piazza Garibaldi 7, mentre la Direzione era collocata in via Urbano Rattazzi 25.
Un’altra caratteristica abbastanza marcata era costituita dalla presenza di una significativa dotazione di pubblicità, raccolta, com’era un po’ costume dell’epoca, all’inizio e alla fine del fascicolo. Gli avvisi pubblicitari costituivano una delle entrate più sostanziose della rivista, che non riusciva comunque ad ottenere un costante sostentamento delle proprie pubblicazioni. Non a caso partivano addirittura lettere dal Federale in persona, perché il Comune non facesse mancare il proprio contributo ad Alexandria.
E tra i nomi degli inserzionisti si potevano trovare grandi brand come quello della Banca Commerciale Italiana e della Cassa di Risparmio di Asti, o come G:B. Borsalino fu Lazzaro, così come proposte di aziende minori: Burro San Giorgio, il dentista Osimo; in aggiunta il dottor Badino, specialista in orecchi, naso e gola.
Particolarmente interessante, tra le altre, la pubblicità a pieno formato delle Costruzioni Meccaniche Agricole Orsi Pietro & Figlio di Tortona. Una grande foto di B

enito Mussolini, mentre trebbia il grano a Littoria (oggi Latina) nell’Agro Pontino bonificato, è sottotitolata da una scritta inequivocabile: “il Duce ha trebbiato il primo grano di Littoria con le macchine Orsi”.
Ma che argomenti prevalgono su Alexandria? Quelli storici, come detto. Per esempio la descrizione della permanenza in Alessandria di Pio VII e addirittura le portate della cena offerta dal Comune di Alessandria; San Francesco in Alessandria oppure i ricordi inediti di Giuseppe Garibaldi in città. Cioè temi in cui la storia locale si è intrecciata con quella nazionale e perciò Alessandria ha acquisito prestigio e carisma.
C’è però anche spazio alle arti figurative, con una rassegna dei nostri artisti che hanno avuto l’onore di esporre alla XX Biennale di Venezia, come Micheletti, Carrà, Cafassi, Cristoforo De Amicis, Caratti oppure veri e propri ritratti d’autore come per Beppe Levrero, Pietro Morando, Gigi Cuniolo Leo Ravazzi, Germano Buzzi e tanti altri ancora.
Non sfuggono ai redattori di Alexandria neppure le lettere. Per esempio viene dedicato ampio spazio al monferrino Agostino della Sala Spada, che precorse il tanto vantato “Quo Vadis?”, con un libro, abbastanza sconosciuto come “Mondo Antico” da cui Henrik Sienkievicz prese – sostanzialmente dichiarandolo – più di uno spunto, visto che proprio il romanzo dell’autore monferrino conteneva un capitolo, da cui l’autore polacco prese il titolo. Anche il capitolo di Agostino della Sala Spada infatti si intitolava – guarda caso – “Quo vadis?”. Ed era stato scritto ben prima.
Plagio in piena regola? Il nostro affrontò la questione con ironia, ringraziando il polacco per la scopiazzatura, che aveva fatto sì che il panorama internazionale ricordasse la sua trascurata opera, cioè “Mondo Antico”.
Non mancano neppure le vedute sui castelli del Monferrato e quelle notizie di attualità che servivano da indispensabile propaganda per il regime, come gli anniversari dei Fasci da combattimento o la tappa alessandrina del Carro di Tespi, che in piazza Garibaldi aveva eseguito il Trovatore di Giuseppe Verdi.
Particolare la lettera autografa con la quali il Prefetto di Alessandria, Domenico Soprano, nel 1936, apre il numero 8, anno IV, di Alexandria. Lo leggo per chiudere questa narrazione:
“Il mio plauso ad Alexandria, potente squilla intellettuale, in una terra dove glorie remote e recenti costituiscono un superbo lievito, per alimentare nuovi sogni, più vaste armonie e più alti ideali”.
Piercarlo Fabbio

 Dalla trasmissione di Radio BBSI: La mia cara Alessandria 207_250 BBSI 11 aprile 2017

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