Giorgio La Pira, utopia politica dell’Evangelo, Agostino Pietrasanta

by, Agostino Pietrasanta
(Domenica scorsa, qualcuno ha ricordato il quarantesimo anniversario della morte di Giorgio La Pira (5 novembre 1977); con l’occasione si è conclusa la fase diocesana della causa di canonizzazione ed è stata consegnata la “positio” alla Congregazione per le cause dei santi. Si spera che presto, anche i politici italiani abbiano un loro protettore nazionale. Per ora devono ricorrere a Tommaso Moro che certamente non stona. Ap.)
Nell’estate del 1945, a due mesi dalla fine del conflitto mondiale, Giorgio La Pira raccoglieva alcuni suoi scritti sotto il titolo “La nostra vocazione sociale”; in uno di essi si delineano le ragioni di una scelta e di una presenza. Giova citare, “Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa brutta! No, l’impegno politico costituisce l’intervento diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società…” e continuava affermando che si trattava di ordinare tutti gli sforzi della preghiera, della meditazione, di prudenza, di fortezza di giustizia e di carità alla fondazione della convivenza umana. Un quadro di ammirevole utopia, ma che anticipa di circa vent’anni quanto dirà Paolo VI nel definire la politica come modalità esigente di realizzare la carità.
La Pira vive questo ideale in presa diretta: prima nell’associazionismo dei Movimenti intellettuali di Azione Cattolica, poi come parlamentare, poi come sindaco di Firenze.
La cifra della sua presenza si coglie non solo, ma certamente, in una sensibilità sociale fondata su una forma indiscussa di radicalità evangelica dal momento che l’Evangelo viene continuamente citato, sia a fondazione dei suoi scritti, sia a giustificazione dei suoi comportamenti. Quando nel 1953, sindaco di Firenze si trova ad affrontare la crisi del Pignone, si comporta di conseguenza. La più importante realtà industriale del capo/luogo toscano sta per chiudere la produzione nel contestuale disimpegno del proprietario appoggiato dalla destra della Confindustria; si rischia un livello preoccupante di disoccupazione, 1700 lavoratori temono un licenziamento inevitabile, un vero e proprio disastro sociale cittadino. La Pira riesce a convincere Mattei, presidente dell’ENI ad un acquisto che significa una statalizzazione del complesso in crisi.
Ne segue una polemica, prima di tutto all’interno del dibattito cattolico. Luigi Sturzo sul “Giornale d’Italia” afferma di non aver capito. Preoccupato, dopo l’esperienza dell’esilio subita per effetto del ventennio, da ogni ombra di nazionalizzazione precisa il suo sentire,“…non riesco a capire quei cattolici che per una socialità anti/economica trasformano il giusto e limitato intervento dello Stato in un vero e proprio statalismo non solo economico, ma anche politico” (13 maggio 1954). A fronte dell’obiezione, La Pira risponde in coerenza con la sua visione evangelica “…davanti a tutti i feriti buttati a terra dai ladroni, come afferma la parabola del Samaritano, cosa deve fare il Sindaco, in certo modo il padre della comune famiglia cittadina? Può lavarsi le mani dicendo a tutti – scusate non posso interessarmi perché non sono uno statalista, ma un interclassista – Può passare oltre come il fariseo o lo scriba della Parabola?” (30 maggio 1954).
In ogni caso la più dirompente proposta evangelica dell’occasione, il Sindaco la coglie nella risposta ai consiglieri comunali liberali della città che, in coda alla vicenda, gli tolgono la fiducia in Consiglio. “Signori consiglieri, ve lo dico con fermezza fraterna, ma dura, voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia, ma non anche il diritto di dirmi – signor sindaco, non si interessi delle creature senza lavoro, senza casa, senza assistenza – c’è un mio dovere fondamentale che non ammette discriminazioni, che mi deriva dalla mia posizione di responsabile della città e dalla mia coscienza di cristiano; c’è qui in gioco la sostanza stessa della grazia dell’Evangelo” (22 settembre 1954).
Tanto potrebbe bastare, ma va osservato che c’è una proposta coerente di questa radicalità evangelica di La Pira nel suo giudizio inappellabile circa la rovina indotta dalla disoccupazione. Quando collabora, nel gruppo dossettiano, alla redazione di “Cronache Sociali”, rivista fondata da Giuseppe Dossetti, egli nei primi anni cinquanta scrive tre articoli in difesa della “povera gente”. In tali interventi oltre ad una disanima efficace delle ragioni di cultura politica e di valutazione economica della crisi indotta dalla disoccupazione, si sofferma a fondamento sulla incompatibilità del lavoro che manca con la parabola evangelica. La Pira richiama la parabola dei vignaioli (Matteo, 20,7) che vengono chamati ad ogni ora del giorno, ma nessuno rimane senza impiego.

Utopia? Forse, ma sicuramente ne avremmo bisogno.

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